Vincenzo Salemme:«Il napoletano, lingua teatrale»
Notizia pubblicata il 27 febbraio 2008
Categoria notizia : Spettacoli
Ma qual é il segreto di questo successo: forse il fatto che lei mette in scena un'umanità davvero da terzo millennio? «Quando scrivo un testo teatrale, per prima cosa lo metto in prova e poi lo aggiusto sugli attori perchè spesso le parole scritte non funzionano alla stessa maniera di quando vengono recitate. Il mio faro guida però é sempre il pubblico: se la commedia non piace mi sento male, ed aggiusto il testo».
Sembra comunque, dai suoi lavori al cinema e in teatro, che il "grande amore" resti il secondo…«Il teatro é la mia vita. Per utilizzare una metafora culinaria, il teatro é il mio fondo, un po' come per un cuoco che ha i preparati con cui poter fare tutte le salse. Il cinema invece é un delizioso gateau, una bella avventura dove però non ho le possibilità enormi di spaziare libero che ho in teatro. E infine la televisione… é proprio un assaggio, ho fatto talmente poco, e quando l'ho fatta, é stato come fosse teatro. So bene però che il teatro non avrà mai i grandi numeri del cinema: va bene così, perchè rimanga un legame intimo tra l'attore, e il pubblico che lo guarda».
Che eredità le viene in questo senso dall'esperienza con Eduardo?«Lo ricordo bene: avevo poco più di vent'anni quando mi sono trovato a lavorare con lui. Quello che mi ha lasciato é stata una grande lezione di semplicità , nell'accezione più alta».E la "napoletanità ": quanto spazio ha nel suo modo di raccontare?
«Il teatro é la lingua e il napoletano é una lingua molto teatrale. La sua marcia in più é quella di saper unire il popolano al nobile. Per il pubblico di Forlì e del nord Italia, però, ho fatto le modifiche che mi ha insegnato Eduardo. Perciò, utilizzeremo un "napoletano piccolo borghese" che lascia della lingua solo il colore ma la rende comprensibile a tutti».Lei é stato molto attento in passato ai temi della "diversità " e dell'accettazione; qui invece parla di "bamboccioni", dell'uomo-Peter Pan...
«Beh, premettendo che io non ho figli,
ho avuto modo di conoscere le dinamiche di questo rapporto frequentando le coppie di amici che invece ne hanno, con uno sguardo rivolto soprattutto al ruolo dei padri. Mentre le mamme hanno una propensione naturale ad accudire che é per loro innata, negli uomini tutto questo é completamente da inventare, oltre al fatto che devono lottare costantemente con la sensazione di sbagliare, di non essere mai all'altezza. Così, metto in evidenza la crisi del maschio che diventa padre, raccontando la difficile e per lui sconosciuta vita di tutti i giorni da trascorrere insieme al nuovo venuto».Biglietti: da 25 euro a 22 euro la platea, in galleria da 21 a 19 euro. Info: 0543/712170-712172- 712176
(foto by torre.elena)