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Anche la guerra può far nascere un fiore

Notizia pubblicata il 12 maggio 2009



Categoria notizia : Cultura


QUALUNQUE donna le parli non può che invidiarla. E Margaret Mazzantini lo sa. Scrittrice di successo dopo essere stata un’altrettanto apprezzata attrice di cinema, teatro e tv, ha però in casa il suo fan più accanito, affidabile, ascoltato, un editor personale su cui riporre la fiducia più assoluta.

«Un marito devoto, che tiene alla realizzazione delle cose mie quasi più che delle sue, l’unico a cui faccio leggere i miei libri e che mi dà i consigli giusti perché ha la mia stessa sensibilità, si commuove quando lo faccio io. E per quest’ultimo Venuto al mondo ha lavorato al mio fianco giorno e notte». La fortunata mezza mela è Sergio Castellitto col quale stasera sarà a Modena per un reading proprio tratto dal romanzo uscito nel novembre scorso e che fa seguito ai due best seller Il catino di zinco del 1994 (Premio Campiello) e Non ti muovere del 2002 (due milioni di copie e Premio Strega).
Proprio la lettura, il 1° Maggio a Roma, di una pagina del libro ha attirato su Sergio un mare di critiche. Lei che reazione ha avuto sentendo declamare quel brano scritto da lei?

«Per la verità non è stata una cosa preparata ma spontanea su cui hanno ricamato per amore di gossip e di pettegolezzo visto che come coppia non diamo adito ad alcuna chiacchiera. Non avevo alcun bisogno di quel lancio, sono stati gli altri a farne un affare di famiglia, anzi se ci avessi messo bocca l’avrei dissuaso perché sono piuttosto purista e qualche riga in quel contesto non mi avrebbe convinta. Però Vasco che è amico nostro è stato molto contento di quell’introduzione».
Anche lui del resto è molto sensibile al tema della guerra. Perché ha proprio scelto di riesumare il ricordo del conflitto jugoslavo mentre tutti gli occhi sono rivolti da anni all’Oriente?

«In realtà le guerre si somigliano un po’ tutte e sono la metafora del male estremo da cui però può emergere l’ossatura vera delle persone. Perché poi il nucleo vero del racconto è la storia intima d’amore, di figli, di ricerca spasmodica della maternità. Gemma combatte una sua guerra personale contro la natura che gli ha fatto il torto di non renderla madre».

Il ragazzo protagonista si chiama Pietro come suo figlio. C’è qualcos’altro di autobiografico?
«Durante gli anni del conflitto sull’altra sponda dell’Adriatico io ho partorito Pietro e quindi ho vissuto personalmente la cesura tra la mia felicità e la speranza che accompagna sempre quell’evento e l’ondata di orfani e profughi che ha prodotto una guerra europea che l’Europa ha rimosso. Per il resto la storia è un regalo che faccio al lettore rimanendo nel solco che mi è più consono: scrivere della vita stando affacciata alla finestra, ascoltando le voci che incontro, analizzando l’animo umano anche con un intento etico. Anche qui alla fine dell’orrore, spunta la dolcezza».

La maternità oggi è spesso cercata in spregio a qualunque remora. Ancora oggi una donna può dirsi realizzata solo se ha figli?
«Assolutamente no, l’argomento è soggettivo e non mi permetto di stabilire quali siano i confini morali invalicabili in questo campo. In generale è un argomento molto doloroso che trasforma in un inferno anche la vita di coppia».
Ma lei rivaluta anche la figura paterna...
«Il libro è pieno di uomini dolci, intelligenti. Armando è il padre che ciascuna di noi avrebbe voluto avere: porta grande rispetto, è raffinato, anche se appartiene a un’altra generazione. Comunque crescere i figli oggi è molto più complesso di una volta, loro stessi sono dei forzati a vita, nascono con la competizione incorporata, manca loro il tempo, che invece noi avevamo, di oziare, di abbandonarsi alle fantasie. I pubblicitari li vedono già come risorse e servono loro bell’ e pronta perfino l’immaginazione».
Nascerà un film anche da questo libro?
«Sì, Sergio ci tiene molto a farlo ma per la stesura di una sceneggiatura occorre un tempo minimo di decantazione. Lo aiuterò. Ho idee per altri romanzi ma vanno scremate, la mia testa è come uno studio affollato di persone che mi chiedono di vivere su una pagina scritta».

foto by http://www.flickr.com/photos/tearsandrain/