
A bagno nel brivido tra orridi, rapide e cascate
Notizia pubblicata il 17 agosto 2009
Categoria notizia : Sport
C’È UN SOLE ch’ammazza. Si cola sudore. Come animali. La pedula struscia sul breccino, le «crode» appenniniche sono rozze e taglienti. Quattro poveri cristi arrancano sul viottolo del sentiero numero tredici
Quel cavolo di cifra è un’ossessione. Spennellata su pietre e fusti d’albero. E’ la via crucis dei torrentisti della marcia non forzata (ma impudentemente voluta) sulla mulattiera che porta alla terra promessa: l’imbuto del Presale, una forra a budello che scava il Nerone e i suoi fratelli calcarei. Una colata di pietra tutta scivoli, marmitte e baratri.
Nella macchia ciondolano i signori degli anelli, che paiono mucche al pascolo, annunciati dal tintinnio di discensori a otto, moschettoni e sicure. Queste strane bestie sono cariche all’inverosimile. In groppa s’accollano sacche da mandriani. Un po’ come il borsone di Mary Poppins: dalla muta al sopratuta speleo, dai guanti anticallo al fetente panino del torrentista. La latitudine non è poi così esotica.
I quattro buttano un occhio alla carta. Località: Piobbico. Provincia: Pesaro e Urbino. Il monte: Nerone. Forre simili in zona: fosso della Cornacchia, cascate di Val d’Abisso. Col pensiero (sull’invidioso andante) alla più ardua e lugubre sfida sibillina, nel Maceratese: Infernaccio dell’Ambro e del Tenna. La testa torna al contingente. Il calvario neroniano s’imbocca dal parcheggio della Rocca Leonella, scalato coi primi (vertiginosi) tornanti che dal fondovalle s’arrampicano alle ginocchia del monte. Un morso alla pagnottella «stuprata» dai cordami dello zaino e via. Si riparte. In fondo il sentierino non è così ardito.
S’imbosca, s’inerpica, poi torna a picco. E taglia le paretine, stratificate, forate dai carotaggi. Il geologo del gruppuscolo azzarda la spiegazione. Di tutta quell’arringa sull’origine delle rocce, si becca al volo un «raro livello Bonarelli». Più che di geologia, pare si parli d’un teorema matematico.
Ma, scherzi a parte, questo «livello Bonarelli» è un unicum. Quello là parla come un libro stampato. E pontifica: «Trattasi di sedimenti prevalentemente argillosi e siltosi, di colore nerastro, con basso tenore in carbonato di calcio, ricchi di silice...». E bla, bla. Archiviato il signor Bonarelli e i suoi amici, la testa torna a rimuginare sulla belva da esplorare: la forra del Presale. Ma, mimetizzato tra arbusti, eccolo là, il ponticello. I «crivellini», così l’hanno battezzati, sono assi di legno più pericolanti che altro. Una specie di ponte alla «Cassandra Crossing». Chi ha visto il film, può farsi il segno della croce. Chi non l’ha visto, s’immagini un rudere pencolante di ferracci e assi fradicie, sospeso nel vuoto e appiccicato con lo sputo a un roccione calcareo, arcadicamente (e beffardamente) rivestito di edere, che, subdole, t’annunciano una morte lenta e atroce. Troppo tardi per ripensarci. Il senso è unico. Divieto di inversione a «U». Il ponticello alla «Cassandra Crossing» è l’ultimo baluardo. Prima di altri dieci, cento, mille. Quelli della forra. Vai col primo «armo»: su un alberone solido. E vai pure col primo bagnetto nel marmittone d’acqua cristallina all’ombra della vecchia «digona» crollata come un Lego preso a calci da un bimbo insolente. A quella tinozza naturale s’è arrivati in corda doppia, via discensore a otto. Calata nel saltino da pochi metri, sicura e via. Partono gli altri. Idem.
L’ospite non è poi così ospitale. La casa del signor Presale è piuttosto angusta, scivolosa, ma non avara di vasconi naturali, dove sguazzare come pesci. Alla faccia dei poveri bagnanti sudaticci che pascolano in Riviera. E alla faccia dei pecoroni che sbuffano in coda ai parchi acquatici. Sì, anche il ponticello alla «Cassandra Crossing» è valso l’impresa. Che diventa tale quando agli occhi dei quattro si spalanca la belva: il baratro da ventincinque metri. Un cascatone che sbava acqua schiumata e purissima da ogni angolo. Stavolta, la doppia pesa come un macigno, imbevuta di liquido. Il discensore non scorre. E si resta appesi come salami, sotto la doccia di venti metri. Piega e permanente sono servite. Perché quell’orrido fa drizzare i capelli e poi li modella. Gli stivaloni zampicano qui e lì. Ancora calate in doppia, tra gli applausi di lucertole e geotritoni. E tra gli sberleffi della «cordata» all’ingiù. Che ora deve approntare pure una teleferica, per attraversare l’implacabile gorgo del Presale. Corda stesa come per i panni della lavandaia e giù col moschettone. Come la funivia del Bianco. E ancora salti, gorghi e pediluvi nelle tinozze di calcare. Gran finale con pipì liberatoria e feticistica. Poi, il ritorno dei cavalieri alle carrozze. Con ciclopici morsi ai panini infradiciati e le importune molliche sulla cartina spalancata, simbolo di trionfo. Al prossimo Presale. Alla prossima cascata. Di emozioni.
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