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Crossroads in duo a Russicon Paolo Fresu. La poesia sonora batte in... Testa

Notizia pubblicata il 31 marzo 2008



Categoria notizia : Spettacoli


UN BINOMIO inedito: un cantautore poeta che fa della "canzone nuda", ridotta alle sue linee essenziali di melodia, armonia e testo il suo vero punto di forza, e un musicista che sa 'cantare' con il suo strumento e conosce bene il valore e l'importanza delle parole.

Gianmaria Testa e Paolo Fresu si conobbero al Festival di Berchidda, ideato e diretto dal musicista sardo. Poi si sono incontrati più volte nel corso di questi anni: insieme partecipano all' "Omaggio a Leo Ferré" pensato dal pianista Roberto Cipelli.

Un progetto esplorato stasera (dalle 21) sul palco del Teatro Comunale di Russi: una serenade al genio che s'inerpicò fino alle vertigini della poesia affidata a una voce che commuove e all'epica del suono della tromba. In una dimensione umbratile, raccolta, dove coesistono temi anche stridenti della vita, dolcezza e violenza, motti colti e popolari, si sviluppa una compiutezza grandiosa e profonda, raffinata e impetuosa, tenera e ascensionale.

Testa, il senso del concerto é attraente in sè: a confermarlo é anche il fatto che é da quattro anni che continuate ad ottenere consensi.
«Se la si considera come musica di nicchia é quanto di più attraente si possa immaginare. Ma i miei meriti sono soli quelli del cantore stracolmo di passione, partecipe di una genialata di Cipelli, il pianista che più di ogni altro é legato a Fresu.

Nel "saluto" a Ferré voleva metterci una parte cantata in francese, e Paolo ha pensato a me. In Italia abbiamo sempre fatto il pieno, come di recente al Regio di Torino. E anche l' "export" é stato rincuorante, prima in Francia al festival jazz di Jeunas, hinterland di Montepellier, del 2002, poi anche in Svizzera e in Belgio. In autunno l'appuntamento é con Vienna».

Che significa per lei suonare con dei jazzisti?
«Non sono mai stato un accanito ascoltatore di jazz, ma suonare con questi musicisti é incredibile: Fresu, ma anche Enrico Rava, Rita Marcotulli, Bollani, Pietropaoli e Piero Ponzo, mi hanno insegnato e dato qualcosa. Sono contento che Paolo intervenga sulle mie canzoni a modo suo e mi sorprenda. Diventa un dialogo intenso, sospeso, imprevedibile. Ogni volta é un'emozione un po' diversa: é il privilegio di suonare con dei grandi solisti».
Cantare in francese, in aree francofone, senza che nessuno scappi é già  un successo. «E' vero, nessuno é scappato: nel frattempo il progetto s'é affinato diventando F (a Leo)».
Una sigla che racchiude un piccolo poema.
«Più che un omaggio é un saluto. Rispetta l'anarchismo di Ferré: un disco anarchico fatto per un anarchico. Un francese si sarebbe rifugiato nelle cover. Cipelli, invece, lavorando su Ferré s'é preso davvero le libertà  del jazzista. Come Paolo. Tutto quello che toccano diventa musica».

Viriamo sugli chansonnier, vecchi e nuovi: sono in molti a paragonarla a Paolo Conte.«A me sembra di essere ancorato al secolo che se n'é andato, le nuove tendenze le conosco meno. Paolo Conte ha un "milieu" molto diverso dal mio, le analogie sono solo di tipo estetico. Ma é quello che ha aperto la strada della canzone italiana oltre confine. Tutti gli dobbiamo qualcosa. L' emozione più grande, però, l'ho provata con De Andrè che mi ha fatto capire come nella canzone possa starci tutto. Con lui ho scoperto George Brassens e Loenard Cohen: l'olimpo della canzone del ventesimo secolo».

(foto di http://www.flickr.com/photos/38355353@N00)