Teatro i dodici anni di Laminarie di un libro. Uno sguardo sulla tragedia con lo stupore dei bambini
Notizia pubblicata il 01 gennaio 2009
Categoria notizia : Spettacoli
CERCARE la meraviglia, amplificare lo stupore, esaltare il potere delle sensazioni sui sentieri che solcano forme di comunicazione non verbali, basate, a volte, sulla purezza ‘assoluta’ delle emozioni, dello ‘scambio’.
Laminarie è una compagnia teatrale di Bologna che attraversa il mondo, che racconta il ‘potere’ della creatività di un artista come Jackson Pollock (al quale hanno dedicato uno spettacolo, rappresentato anche a New York), per poi esplorare le vie di Mostar, ex Jugoslavia, dove hanno lavorato in spazi drammatici e dismessi, entrando nelle pieghe oscure della ‘tragedia’. E proprio Tragedia e Fiaba. Il teatro di Laminarie, 1996-2008 si chiama il libro che Bruna Gambarelli, anima del gruppo ha scritto con Claudio Meldolesi, docente di drammaturgia al Dams.
Un teatro sospeso tra il piacere della fiaba e il cuore ‘tragico’ dello spettacolo. «Sì, perché Laminarie parla all’infanzia — spiega l’autrice — partendo dalla fiaba popolare, mentre quando ci rivolgiamo agli adulti, il senso della ‘tragedia’ è l’essenza dei nostri lavori. C’è sempre il desiderio di indagare le possibilità infinite che offre il linguaggio quando ‘accetta’ di sperimentare».
Uno degli aspetti più interessanti del pecorrso che tracciate nel libro riguarda l’apertura di Laminarie alle emozioni dell’arte contemporanea. «Sì, l’atto teatrale è una continua scoperta di espressioni diverse, nei nostri lavori entra l’immaginario che costituisce il nostro patrimonio culturale, quello che negli anni abbiamo conosciuto. Il nostro teatro si nutre di tutto quello che arriva dalle altre arti. Dalla letteratura, dal pensiero critico del ’900 e dalle arti visive. C’è sempre una ricerca profonda sull’importanza della scena, sul disegno “architettonico” che avvolge i nostri spettacoli. Come se gli occhi potessero percepire quello che non può essere raccontato dalle parole».
Anche le parole che scegliete sono frutto di una indagine profonda.
«I nostri lavori nascono sempre da testi di autori che non hanno scritto per il teatro. Abbiamo affrontato Kafka, Canetti, Simone Veil, scrittori importantissimi, che non non erano però drammaturghi. Ci ha conquistato la qualità della loro scrittura, che cercavamo di rappresentare scolpendo quelle narrazioni, usandole quasi fossero oggetti scenici. Sono sempre parti molto brevi, pagine ‘estratte’ dall’opera che si tramutano in elementi che ‘segnano’ l’ambiente».
Una scelta ‘naturale’.
«Sì, noi partiamo da un’urgenza espressiva. Ad esempio nel nostro primo lavoro volevamo parlare di oppressione, emotiva e fisica. E’ stato inevitabile ‘incontrare’ Kafka e le sue ‘Lettere al Padre’, era l’autore che meglio descriveva quella condizione, pur non avendo mai scritto per il teatro».
Dal libro emerge la volontà di fare un teatro sociale.
«Il teatro, per noi, è sempre politico. In alcuni momenti Laminarie ha avvertito la necessità di dialogare con la tragedia. E’ avvenuto quando siamo stati in Bosnia durante la guerra. Ma trovo che fare teatro in guerra e parlare invece ai bambini abbia lo stesso significato ‘civile’».
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