Le offerte più convenienti
Prenota gratis
Nessuna commissione

Bologna Il personaggio Bragaglia. Una famiglia di mattatori: il teatro si fa romanzo

Notizia pubblicata il 11 marzo 2009



Categoria notizia : Spettacoli


LEONARDO Bragaglia o il romanzo del teatro. Il grande ’900, il palcoscenico dei mostri sacri, Benassi, Ruggeri, la Duse, Gandusio, Lamberto Picasso, la Borboni, la Capodaglio. Una stagione irripetibile. Un tempo in cui i miti erano mitici davvero, e dove il palcoscenico era un luogo di sfide all’ultimo virtuosismo.

Seduto su una poltrona a fiori, di rimpetto alla vetrata del giardino, nella hall della Casa Lyda Borelli che lo ospita da tredici anni, Bragaglia è un 73enne energico, pignolo nel raccontare, attento a ricostruire aneddoti ed episodi.

Come quando, a proposito di Mario Scaccia — che domani gli sarà accanto per la presentazione del suo ultimo libro dedicato a Rodolfo Valentino — ricorda: «C’era anche lui, nel ’48, nel cast dello Spirito della morte di Rosso di San Secondo. Fu il mio debutto, a 16 anni, un anno prima di vincere la borsa di studio dell’Accademia d’arte Drammatica ex aequo con Glauco Mauri. La compagnia era quella messa su da mio zio, Carlo Ludovico».

C’ERA insomma una buona ragione se Silvio D’Amico, gran santone dell’accademia, chiamava Leonardo «nipote d’arte». Nelle parole di Leonardo Bragaglia, infatti, il teatro dei mattatori si intreccia con un altro romanzo, quello di una straordinaria famiglia d’artisti, tutti Bragaglia, tutti da parte di padre: zio Carlo Ludovico, soprattutto, il regista di Totò e dei telefoni bianchi, e zio Anton Giulio, che nel 1911 pubblicò Fotodinamismo futurista, gettando le basi di una tecnica che avrebbe sottratto l’immagine fotografica alla sua staticità; per non dire, a completare il quadro, di papà Alberto, tre lauree e il soprannome di “pictor philosophus”, che quando, per l’ottantesimo compleanno, ricevette una medaglia d’oro dalla sua città, Frosinone (vi era nato nel 1896), se l’appuntò accompagnando il gesto con la battuta: «Me ne fregio!».
MA Leonardo Bragaglia tiene anche alla propria originalità: «Non ho mai pensato — confessa — a una carriera diversa da quella dello spettacolo. La mia idea di teatro, però, era diversa da quella di mio zio Carlo Ludovico, con cui ho iniziato, a lui interessavano gli aspetti scenotecnici, per me invece il teatro era teatro di parola. Pirandello al di sopra di tutti, l’Enrico IV, che ho interpretato un centinaio di volte insieme a Lamberto Picasso, ma anche Goldoni, Molière. Io ho sempre preferito fare l’attore, l’attrazione del teatro è quella, il palcoscenico, la recita davanti al pubblico».

Eppure, tra le pagine del romanzo infinito, si annida un’emozione da regista: «Fu nel ’65 — racconta Bragaglia — quando Riccardo Bacchelli, al teatro del Convegno di Milano, mi chiese come aiuto per Giorni di verità, una quarantina di repliche. Ebbene, allorché uscirono i manifesti il mio nome non figurava da aiuto regista, ma come regista a tutti gli effetti accanto all’autore del Mulino del Po». Del resto, il libro è un altro genere che Bragaglia pratica volentieri: ne ha scritti una quarantina, dalla biografia di Ruggero Ruggeri a quella della Callas.c. su.

foto by http://www.flickr.com/photos/