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«I Maya mi mettono in contatto col divino». Monica Casadei danza al Duse

Notizia pubblicata il 26 febbraio 2008



Categoria notizia : Spettacoli


ARRIVA al Duse oggi e domani, Mexica. Collapse, uno spettacolo di danza di una celebre coreografa di Parma: Monica Casadei, fondatrice e direttrice della Compagnia "Artemis Danza".

Poi, toccherà  alla Turchia, nuova tappa del progetto pluriennale di residenze artistiche in Paesi stranieri, iniziato in Brasile, nel 2005, seguito poi da Cuba, nel 2006, e dal Messico, nel 2007. Lo spettacolo (frutto di questa "residenza") ha recentemente debuttato, con molto successo, al Teatro Palladium di Roma e ha proseguito la sua tournèe, toccando Napoli e Torino, prima di Bologna.

C'é una trama, un "fil rouge", che attraversa il suo percorso creativo? «Il corpo. L'intero corpo - risponde Monica Casadei -. Tutto é in qualche modo scritto nel nostro corpo. Non a caso, alla mia tesi di laurea in filosofia, ho dato questo titolo: Il genio del corpo: Platone e la danza».
Dunque, per lei, esiste una "filosofia del corpo"?
«Certo. E' come una storia che, in termini di danza, insegue e ricerca il confronto con le altre culture, soprattutto con quelle, con le quali ci contaminiamo».
Nella sua attività  di danzatrice e coreografa, vediamo che lei ha spesso scelto di viaggiare all'estero ed effettuare una serie di lunghe "residenze".
«Sono esperienze preziose. Ma non dovrebbero essere intese in senso soltanto di studio di altre culture di danza, sia "classica", sia folclorica. Ogni paese dovrebbe stimolare esperienze personali profonde e la libera fantasia di ciascuno».

Prima di iniziare la sua "residenza", lei studia in maniera approfondita la cultura, specialmente di danza, del paese dove andrà ?
«Spesso lavoro, prima di conoscerle realmente, su quello che immagino siano le danze teatrali e popolari di quel paese. Ed é emozionante vedere, poi, che la nostra immaginazione era, per molti versi, miracolosamente profetica. Questo, naturalmente, senza nulla togliere alle infinite, preziose ispirazioni, che un'altra cultura nazionale può offrire

E quali altri conseguenze positive si ottengono attraverso queste "residenze"? «Per i singoli danzatori, sono sempre esperienze formative di importanza incalcolabile; ognuno, naturalmente, in modi e tempi personali. Per il gruppo, a volte si ha la sensazione che non basti un solo spettacolo, ma tanti e tanti, per raccontare ciò che ha imparato, in un dato paese».

"Mexica" é la prima parola del titolo del suo spettacolo. Segue "Collapse", "il collasso". Che cosa intende?
«Soprattutto che ho voluto raccontare, in termini di danza, ciò che resta all'antica cultura Maya, osservata nel momento estremo, grandioso e amaro: quello dell'ultimo bagliore prima della fine, prima del collasso. Per questo, mi sono ispirata anche alle 250 statuette conservate nel Museo dell'Arte Maya, in Messico, per quanto riguarda la postura dei corpi, per me, quasi un "codice linguistico", con ogni immagine usata come flash rapidissimo, ma capace di far rivivere gli antichi affreschi, in rapida successione».

Il lavoro sui Maya e sulle danze proto-messicane é stato più o meno difficile di quello sulle altre culture, studiate da lei e dalla sua compagnia?«Non é stato più difficile. Soltanto diverso: perchè necessariamente più astratto, per via degli immensi panorami, irriproducibili, che avevamo di fronte e la totale mancanza di paesaggi urbani, più facili da riprodurre».

In sintesi, può indicarci il senso profondo del suo lavoro di reinvenzione coreografica di tutto quanto ha studiato, approfondito e vissuto in Messico?
«Forse l'evocazione di un costante filo diretto con il divino, che sembra tenere insieme i pezzi, spesso "scompagnati", della nostra vita».

(photo by carf)Â