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Lasciamo che il Galli resti solo un sogno. Rimini ha bisogno di un teatro moderno

Notizia pubblicata il 28 ottobre 2007



Categoria notizia : Turismo


La ricostruzione filologica di Cervellati é un'operazione che serve ai rimpianti non a progettare un teatro per la Rimini del futuro. Oggi, dopo decenni di «teatro qui, teatro lì», di saggi in comitato e di scudi umani, di notti insonni per ben tre sindaci, e paradossalmente proprio quando le finanze del Comune si ritrovano a secco come non mai, la grande impresa sembra essere, finalmente, ai nastri di partenza.

Finché si trattava di lanciare idee nel pozzo dei desideri, in fatto di teatro tutto poteva andar bene: bene quell'enorme fabbricato di Natalini che faceva sparire le strade e invadeva la piazza del castello fregandosene di parcheggi e di facili accessi; bene il “sogno d'antico” di Cervellati, con il suo “com'era dov'era” alla Bartolani, con tanto di ori e stucchi finti, magari commissionati a qualche laboratorio cinese.

Ma se, nella Rimini 2007 il problema vero é trovar risposta alla domanda di teatro, forse bisognerebbe, in primis, dar risposta a qualche domanda di metodo non marginale: cosa significa teatro negli anni Duemila? Come si progetta, si costruisce e si mantiene un teatro per il presente e per il futuro di una città ? Se invece, il vero problema e dar risposta al bisogno di opere e di operette dei 57 associati a Rimini città  d'arte, il metodo attuale va benissimo. Basterà  solo qualche decina di milioni di euro per accontentarli e nessuno sarà  tacciato per nemico delle patrie memorie musicali.

Sorge un dubbio. Anzichè ricostruire un teatro all'antica, che affogherebbe il centro storico, non costerebbe meno alla collettività  procurare ai nostalgici del melodramma un abbonamento all'Operà  di Parigi e alla Scala, e pagar loro il viaggio e il soggiorno per le intere stagioni operistiche? Il denaro che il Comune risparmierebbe per gli interessi dei mutui che sarebbe costretto ad accendere per ricostruire, sarebbe infatti più che sufficiente. Il professor Guido Zangheri, personaggio che non si può certo accusare di mancanza di esperienza e di amore per la città  e per la musica, poco tempo fa ha ben tracciato le ragioni di merito per opporsi a un anacronistico intervento come quello di Cervellati.

Un intervento che sembrerebbe godere dei favori dell'opinione pubblica. Ma, forse, proprio così non é. Una spiegazione alle 10mila firme raccolte dall'associazione Rimini città  d'arte sta nella domanda pazzagliana sottostante al quesito formale posto ai riminesi: é meglio quel capannone degradato con macerie che deturpano da decenni piazza Malatesta, o un bel teatro finto-antico luccicante d'ori e sete? La risposta é stata, e resta, scontata. Sono, invece, altre due le domande che dovrebbero essere poste.

E' giusto affogare con il sedere di un mastodonte, vecchio o nuovo, un castello quattrocentesco finalmente restaurato, e privarlo della sua piazza e del fossato? (Era già  successo nell'800 ma sulla piazza si affacciavano le carceri che era meglio nascondere). E' giusto, per accontentare uno sparuto quanto eroico gruppo di puristi del “com'era dov'era”, ricostruire una struttura che risponde alla domanda di teatro di un secolo e mezzo fa, senza pensare alle esigenze della Rimini d'oggi, alle tecnologie, all'accessibilità , alla capienza, ai costi?

CERVELLATI, progettista insigne, ha dichiarato di avere l'incubo terribile: di svegliarsi in una periferia qualunque, senza sapere dove essere. Da qui il suo invito, che ripete anche a noi con la sua idea del “Galli com'era”, di tornare a vivere le città , ‘l'unica opera d'arte che ha bisogno della presenza fisica dell'uomo per conservarsi e non restare solo un cimelio della memoria'. Salvo che per la sua bizzarra idea di modernità , siamo tutti d'accordo con il maestro, certo! Se, allora, é la sindrome di Cervellati che bisogna curare, il rimedio sembra facile.

Richiede solo coerenza, coraggio, e forse meno soldi: ripuliamo piazza Malatesta dal sudiciume del capannone-palestra; ridoniamola al castello; facciamo del superstite ridotto del teatro, vero splendido gioiello, il salotto buono della città  e viviamolo. Infine, e soprattutto, progettiamo, in maniera rispettosa ma moderna e creativa, coerente ma coraggiosa, uno spazio bello e utile tra le ali superstiti della struttura polettiana, un luminoso spazio espositivo oppure un padiglione tecnologico di gran classe che accolga, perchè no, anche i nostri chiassosi ambulanti. E il teatro, se di teatro Rimini ha bisogno, facciamolo come e dove possano applicarsi tutte quelle caratteristiche che Zangheri ha ben illustrato. Non certo in piazza Malatesta. Nel frattempo teniamoci stretti il Novelli e gli Atti, e costruiamo l'Auditorium. Qualcuno ha detto che ogni tempo ha il dovere di progettare il proprio futuro e non di rimpiangere il proprio passato. Progetta il passato, infatti, solo chi del futuro ha paura.