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Da Sex Symbol Ad Attrice Impegnata Silvana Mangano Ha Segnato La Storia Del Cinema Italiano
Notizia pubblicata il 16 dicembre 2009
Categoria notizia : Turismo
A 20 anni dalla morte il ricordo di Montaldo e Mieli: "Nessuna più è come lei" Quello spietato riso amaro
"Ho sempre provato il timore di essere inadeguata" diceva di sé Silvana Mangano, attrice inimitabile dal neorealismo ai maestri dei Sessanta, capace di distanze e passioni, gelidamente seducente, ostinatamente vitale, che moriva il sedici dicembre di venti anni fa. A Madrid, nell’epilogo sempre più tortuoso, claustrofobico, doloroso, esacerbato di una vita e di una carriera iniziata sul finire della guerra. Aveva infatti quindici anni quando, dopo esperienze di danza e di modella che l’avevano portata da Roma a Parigi, esordì in un dimenticato "Le Jugement dérnier" di René Chanas. Poi, il concorso di Miss Italia del ’47 vinto dalla Bosé ma sufficiente per farla notare e metterla su una strada che le avrebbe fatto incontrare il produttore-pigmalione Dino De Laurentiis e il set del melodramma-western "Riso amaro". Fu uno shock collettivo quella mondina, circuita dal tenebroso Gassman di quegli anni, con i pantaloncini e una maglietta che lasciavano vedere e intuire le forme di una bellezza irresistibile e provocante e, tuttavia, già da allora attraversata da una vibrazione ambigua, dall’esitazione di una sofferenza forse inconfessabile.
DI LI, IL DECOLLO, con personaggi sempre oscillanti attorno al perno della sua fascinazione, a comporre una declinazione del femminile capace di passare da caratteri di popolane istintive e vitali ("Il Lupo della Sila", "Il brigante Musolino", fino alla Teresa di "Uomini e lupi"), ad anime scisse tra corpo e spirito ("Anna" di Lattuada, indimenticabile nel mambo dell’allegro Zumbòn con Gassman che le volteggia attorno, la prostituta di "Teresa era una di quelle" ne "L’oro di Napoli" di De Sica e de "La Grande Guerra"), da personaggi da commedia a eroine tormentate (Edda Ciano ne "Il processo di Verona" di Lizzani), fino alla estenuazione siderale, astratta, che opera su di sé all’ombra di Pasolini (la regale Giocasta di "Edipo Re", ’inquietudine materna e borghese di "Teorema", la Madonna del "Decameron") e di Luchino Visonti (la madre di Tadzio in "Morte a Venezia", la moglie di Wagner in "Ludwig" e l’affittuaria volgare di "Gruppo di famiglia in un interno"). Proprio Pasolini, scrivendole, parlava della sua bellezza come di una "teofania", del suo "splendore di perla, mentre in realtà tu sei lontana".
Presente e assente, era così la Mangano, con la sua immagine che per un verso catturava, per l’altro sfuggiva. Anche a se stessa, perduta via via in un tormento auto-analitico che le faceva rifiutare se stessa e gli altri, anche le persone più vicine. Sarebbe immaginabile una Mangano oggi? «No – risponde Guliano Montaldo – oggi le attrici sono tutte estroverse, non hanno privato, e poi la Mangano poteva esistere solo in quel cinema, con quei registi e produttori». E un regista dell’ultima leva come Valerio Mieli di "Dieci inverni": «Aveva una sensualità enigmatica, una bellezza aliena che mi avrebbe messo in difficoltà». Chi potrebbe essere oggi? Tanto per giocare con qualche nome, Laura Morante, Caterina Murino, Valeria Bruni Tedeschi..? «Mah, in Italia non vedo nessuna. Forse, l’unica che le assomiglia è Uma Thurman»
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