Andrea Adriatico parla del progetto di Teatri di Vita
Notizia pubblicata il 04 giugno 2009
Categoria notizia : Eventi
CHE NE È stato del sogno berlinese, dalla caduta del muro di ad oggi? Nell’ultimo ventennio Berlino è diventata un laboratorio sociale che viene osservato in tutto il mondo dove il fermento culturale ha assunto un’impronta ben definita che ha influenzato la cultura europea contemporanea.
Al sogno berlinese e a quello che ha prodotto in termini di nuovi linguaggi artistici e modalità espressive, è dedicata la rassegna Cuore di Berlino che Teatri di Vita realizza all’interno di bé, bolognaestate, dal 7 al 12 luglio, al Parco dei Pini.
Ma perchè proprio Berlino? Lo chiediamo ad Andrea Adriatico, regista e sceneggiatore nonché fondatore di Teatri di Vita.
«Ogni anno creiamo rassegne che guardano all’estero — spiega — Dopo la Cina, la Turchia, la Romania, quest’anno ci occupiamo di Berlino anche in relazione alla ricorrenza del ventennale dalla caduta del muro. Il fascino di questa città è costituito proprio dalla gente che ha voglia di ricominciare».
Qual è il senso di questa rassegna?
«E’ quello di raccontare cosa è successo nella capitale tedesca negli ultimi venti anni e come ha influito sulla storia europea: si pensi ad esempio alla grande ondata musicale che è partita da lì e che ha influenzato tutta l’Europa».
E come lo racconterete?
«Abbiamo pensato ad una rassegna dall’impronta principalmente musicale in cui parteciperanno tutte le nuove voci del panorama techno berninese che animeranno parco dei pini nel corso delle sei le serate. Ma il fil rouge della manifestazione sarà la mise en espace “Addio a Berlino” di Christopher Isherwood. Il libro che ha ispirato anche il film “Cabaret” con Liza Minnelli».
Come ha scelto i musicisti?
«Ho pensato innanzi tutto ai più noti. Ma poi mi sono affidato anche ai suggerimenti delle mia giovani nipoti».
E’ vero che sta lavorando ad un nuovo film?
«Si. E’ il mio primo documentario dal titolo “+ o – Il sesso confuso. racconti di mondi nell’era aids”. Ne sto ultimando il montaggio. Credo molto in questo genere perchè in un paese in cui non si riesce a raccontare in maniera chiara la realtà, il cinema documentario riesce a colmare questi spazi di vuoto che si creano».
Di cosa parla?
«Ripercorre l’esperienza aids in 25 anni di epidemia. Indaga su come si sia modificata la percezione della realtà dopo pandemia, dalla liberalizzazione sessuale degli anni ’70 alle relazioni di oggi caratterizzate dalla diffidenza verso l’altro».
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