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L’Osteria del Cioccolato di Castel Guelfo presenta: 'Quando in Cucina si Parlava il Dialetto'
Notizia pubblicata il 19 ottobre 2009
Categoria notizia : Fatti Curiosi
In occasione del Baccanale 2009 che ha per tema “Miseria e Nobiltà” l’Osteria del Cioccolato ha organizzato un evento particolarmente significativo, che pone in evidenza il ruolo del dialetto nella tradizione gastronomica del territorion occasione del Baccanale 2009 che ha per tema “Miseria e Nobiltà” l’Osteria del Cioccolato ha organizzato un evento particolarmente significativo, che pone in evidenza il ruolo del dialetto nella tradizione gastronomica del territorio
Il dialetto è il contesto espressivo con cui la cucina semplice si trasmette dalla campagna alla città, dalle famiglie dei quartieri popolari ai nuclei borghesi. Ricette semplici, tramandate oralmente, di generazione in generazione arrivano ai giorni nostri e la parlata dialettale, ancora oggi, fornisce uno spunto per interpretare la cultura gastronomica della memoria.
L’evento dell’Osteria del Cioccolato è anche una maniera per ricordare Don Giovanni Tozzoli, autore dell’unico Dizionario Imolese – Italiano 1837, un educatore, un libro pensato per l’insegnamento del dialetto nelle scuole di Imola. Chi l’avrebbe mai detto!
L’Osteria del Cioccolato ha fatto un lavoro di ricerca, proponendo vari piatti, alcuni di vera archeologia gastronomica, caratteristici di una cucina povera, ma di grande nobiltà, rappresentativi di un territorio e di un modo di vivere.
Percorso Cultural – Gastronomico, alla scoperta dei cibi perduti.
Aränga dal Cumèzzi
L’aringa è il companatico tipico della tavola povera, emblema della miseria che ha afflitto nella storia le nostre campagne e i quartieri poveri delle città.
Gustoso è l’aneddoto dell’arringa attaccata al soffitto, penzolante sulla tavola, con intorno la numerosa famiglia da sfamare, a turno, tutti facevano scivolare delicatamente la fetta della polenta, nell’intento di condirla con il suo aroma. Era un vero e proprio rito, un giorno ad un commensale gli venne di strofinare due volte la fetta di polenta, dall’angolo della lunga tavola venne subito apostrofato “vud stiupêr”.
Il piatto proposto è l’aringa argentata salata, come ci arriva, ancora oggi, dai mari del nord, con giusta preparazione, viene poi ricoperta di cipolla in agrodolce, accompagnata da una fetta di polenta arrostita.
Spoja Lorda in Bròd
Quando l’arzdôra aveva poco tempo, quando alla domenica faceva tardi per la messa, quando non c’era il tempo per fare i cappelletti rapidamente tirava due mezze sfoglie.
La prima veniva stesa sulla spianatoia e su di essa si stendeva un ripieno fatto di squacquerone, formaggio grana o altri formaggi e con la seconda sfoglia si copriva la prima, facendola aderire bene.
A questo punto si procedeva a tagliare la pasta così fatta con la “sprunêla”, ricavando dei rettangoli, che poi si tuffano nel brodo bollente. Se vogliamo è una versione povera e sbrigativa del cappelletto romagnolo.
Żavardòn in tal Ragù ad Castrê
Questa ricetta, è molto povera, se vogliamo è una piccola scoperta da archeologia gastronomica, è una pasta rustica fatta di farina gialla e farina bianca.
I condimenti erano semplici, fatti con carni di pecora oppure rigaglie di pollo, quando l’intingolo era povero si aggiungeva una cucchiaiata di squacquerone.
La nostra preparazione, frutto di approfondite ricerche, è una sfoglia spessa di farina gialla e bianca, poi con la “sprunêla” si fanno dei rombi irregolari, conditi un ragù di cosciotto di castrato.
Ganascen e Langua con l’aguciån
Nella lavorazione delle carni, praticamente qualsiasi taglio viene valorizzato, perfino il così detto quinto quarto (cuore, polmoni, fegato, mammelle, testa, zampe, code ecc.), trova spazio nella cucina povera tradizionale, oggi in forma molto limitata, un tempo invece era la base della cucina povera, quella che non butta via mai nulla.
Le antiche trattorie, hanno sempre elaborato piatti a base di trippe, fegato, uvari e tante altre parti, abbiamo trovato un interessante piatto del cinquecento, trattato anche da Bartolomeo Scappi nella sua Opera.
Il piatto consiste in Guancette di maiale e Lingua di vitello inpilottata allo spiedo con contorno di cardoni al forno.
Fiaur d lät dal Ringraziamänt
E’ un dolce di antichissima tradizione, si faceva solo in tarda primavera, quando c’era latte in abbondanza ed era l’omaggio che veniva fatto al padrone ed al fattore il giorno del Corpus Domini. Rispetto al Fior di latte comune si distingue notevolmente per raffinatezza e struttura, una preparazione veramente diversa.
Ven da avsinèr
Stante il concetto di grande semplicità che guida i piatti, l’abbinamento non può che essere un vino della grande tradizione, “l’Albèna”, il vitigno storico del territorio, ricordato anche da Vincenzo Tanara nella sua opera “L’economia del Cittadino in Villa” 1644. L’Albana, sarà il degno accompagnatore della serata, per chiudere il Passito d’Albana.