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Intervista al Poeta Tonino Guerra

Notizia pubblicata il 29 agosto 2007



Categoria notizia : Fatti Curiosi


Tonino Guerra: «Il fascino del cinema lontano». Dalla sua sedia affacciata sulla Valmarecchia guarda lontano verso il Lido di Venezia con l'animo del poeta e lo sguardo dell'uomo che prova nostalgia per un universo femminile aggraziato e misterioso che alle nostre latitudini pare inesorabilmente perduto.

INTERVISTA COL POETA

- PENNABILLI (Pesaro-Urbino) -

«Anche per questo - osserva Tonino Guerra alla vigilia dell'apertura della Mostra del Cinema di Venezia - adoro Marco Muller che ha portato alla ribalta gli autori giapponesi e cinesi, maestri nel mostrare la sensualità che esprimono gli occhi delle donne orientali, nell'esaltare gesti da noi ormai desueti, nel fornirci indicazioni misteriose e magiche di cui ha esasperato bisogno la mia vecchiaia». Una dichiarazione d'amore e un manifesto d'estetica che s'accompagna a un desiderio «politico», quello di poter continuare ad ammirare alla guida del festival questo direttore. «E' il suo ultimo anno di mandato e mi auguro fortemente che possa essere confermato». Per assicurare anche a se stesso quelle emozioni che l'Occidente non gli trasmette più. «Viviamo - spiega - in un paesaggio consumato dai nostri registi e altrettanto consumati sono i visi dei nostri attori più grandi mentre le storie restano sempre legate a qualche filo di neorealismo, mentre c'è bisogno, ho bisogno di una realtà che sappia riempirmi di favola, che mi sollevi da questa seggiola su cui leggo il giornale e da cui guardo la valle del Marecchia».

Ma Oriente a parte, non salva nient'altro del cinema di oggi?
«A Muller va il grande merito di aver scoperto mondi lontanissimi e sepolti che danno risposte alla nostra voglia di godere di cose dimenticate. In tutti i film che propone c'è questo filo rosso che allontana dal mondo meccanicistico».

Eppure il tema dominante in concorso e fuori concorso sono le guerre...
«Beh, quando uno dirige un festival deve comporre un programma che tenga conto anche dell'attualità con film carichi d'azione, di tecnica, roba che piaccia ai più, ma io sono contento per quella parte di film che ho descritto».

Gli autori che sviluppano queste trame legate al presente possono considerarsi i nuovi neo-realisti?
«Non faccio paragoni per il semplice fatto che il neorealismo nacque in una condizione di estrema povertà e in un modo apparentemente legato a quella semplice realtà. Adesso ciò che si vuol mettere in evidenza è la crudezza della realtà, la violenza che sta crescendo nell'animo dei giovani. Ma la vera novità sarebbe saper leggere le cose in maniera diversa, saper proclamare i sentimenti in una forma magica. Non nego che siano film necessari quelli sull'attualità ma per me il film deve servire al miglioramento del nostro modo di vivere e quindi questo genere è lontano dalla mia sensibilità e dai miei desideri di una sostanza, di un pane eterno».

Allora chi sono i suoi registi di culto oggi?
«Kim Ki-duk, il coreano che ha firmato "Primavera, estate, autunno, inverno... e ancora primavera", Zhang Yimou. Sono tutti orientali non perché abbia disprezzo per il cinema italiano. Stimo Bellocchio per esempio per la sua voglia di regalare immagini più che storie, forme più che contenuto, Rosi. E tanti altri, anche il greco Anghelopoulos, fanno parte del mio carniere ma in questo momento ciò che mi regala più emozione è la cinematografia orientale».

Ma lei ci sarà in laguna quest'anno?
«No, perché l'8 settembre parto per Mosca dove dal 10 il Museo Puskin allestisce la mia mostra "Le lanterne di Tolstoj" ispirata alle lampade in metallo che servivano ai capistazione per farsi luce lungo i binari. Su mio disegno, un fabbro ravennate, Aurelio Brunelli, ha prodotto i manufatti. Dopo Mosca torneranno qui a Pennabilli. Le ha comprate mio figlio per lasciarle nel patrimonio della Fondazione che porta il mio nome».