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Oro, la danza diventa filosofia
Notizia pubblicata il 18 marzo 2010
Categoria notizia : Spettacoli
FERRARA. La danza che diventa filosofia. Il gesto che doppia il pensiero. Ma forse è altro che ci presenta sotto gli occhi Virgilio Sieni con "Oro" in scena (martedì e ieri sera) per la stagione di Danza del Teatro Comunale di Ferrara. Alla fine è il pensiero che invoca il gesto. E' la filosofia che reclama la danza.
Ma niente astrazioni, perchè Sieni traduce in danza lo spazio, la materia, il vuoto raccontati da Lucrezio nel De Rerum Natura, portando in scena i corpi dei danzatori con le loro debolezze, bellezze, fragilità, con il mistero di una macchina che nella nascita segna già il suo morire. E sono tutti fattori amplificati dalla presenza di signori in età che portano sul palco il peso degli anni e una gestualità assennata, come di bambine che recano la leggerezza dei corpi e l'azzardo dei movimenti. In mezzo ballerini che sembrano praticare la danza come un esercizio di bellezza continuamente pregiudicato dal mondo esterno.
E si possono toccare imprevedibili traguardi nell'incontro fra la bambina ed il danzatore cieco. Il mondo di Oro è un mondo invaso di gesti e di luce. Lo spazio è di una desolata chiarezza, come le verità enunciate da Lucrezio nel poema ispirato alla teoria degli atomi e della declinazione delle cose. Il poeta latino riconosceva nello spettacolo del pulviscolo intercettato nello spazio fra le imposte di una finestra l'eterna caduta delle cose prime nella profonda infinità del vuoto.
C'è un misteriosa sintonia fra Lucrezio e Sieni, fra il poeta che racconta un universo come lo raccontano gli atomi e le cose nel vuoto e il coreografo che racconta la danza come la raccontano i gesti e il vuoto che sta tutto attorno.
Più che al pulviscolo, Sieni aspira a cogliere il passaggio da un momento all'altro in cui vivono e ricadono la materia e i corpi. Oro dispensa emozioni imprevedibili dallo studio del gesto, dal controllo dimostrato da tutti gli interpreti. All'ultimo quadro, i danzatori hanno i volti protetti da maschere che rendono neutro lo sguardo, mentre i corpi sono intenti a raffigurare un disfacimento irreparabile. (al.tav.)