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Il figlio più piccolo a Rimini dal 19 febbraio
Notizia pubblicata il 11 febbraio 2010
Categoria notizia : Spettacoli
Un film girato per metà nei dintorni di Roma. Il resto della storia si dipana fra “i portici cosce di mamma Bologna”, portici di gucciniana memoria, a volte accoglienti, a volte inospitali.
Imbolo di una città che il regista Pupi Avati, nato sotto le due torri, mostra certo di amare, ma verso cui non risparmia critiche taglienti: il film in questione è “Il figlio più piccolo” (nelle sale dal 19 febbraio), ultima fatica di un autore che dopo un tuffo nella Bologna dei buontemponi avventori del mitico “Bar Margherita”, torna alla famiglia e alle sue complicazioni, indagando ancora, dopo “Il papà di Giovanna”, il rapporto fra padre e figlio. Il protagonista è un immobiliarista in crisi dopo aver costruito un impero basato sul nulla. Alla ricerca di un prestanome a cui accollare la disastrosa situazione finanziaria delle sue imprese, non esiterà a raggirare uno dei suoi figli.Ovviamente quello più ingenuo e puro.
UNA STORIA c'è poco da andarne fieri, molto italiana, «la storia di un comportamento indecente », la definisce Avati, fotografia dell'Italia degli anni '90 (ma anche di oggi): quella, per intenderci, dei furbetti e dei “trafficoni”. E non fa certo eccezione Bologna, ci tiene a precisarlo il regista, «città in cui il denaro ha sempre contato mol-to, e che per questo ha sempre dato poco valore al cinema.
Per poterla raccontare liberamente, sono dovuto andare via». Nel cast, che annovera nomi come Laura Morante, Luca Zingaretti, e il giovane esordiente Nicola Nocella, c'è anche un veterano del cinema comico nazionalpopolare, per la prima volta alle prese con un ruolo drammatico. L'industriale Luciano Baietti è infatti un inedito (e convincente) Christian De Sica: «Ho 94 film sulle spalle, ma all'inizio delle riprese ero terrorizzato – confessa l'attore - cercavo di risolvere le scene a modo mio, con furbizia da “comicarolo», ma Avati mi rimproverava dicendomi “smettila, così sembri falso”. Mi invitava spesso a recitare a bassa voce. Lo chiedeva anche agli altri: un vero problema, per me che sono un po' sordo. Anche l'idea di lavorare con Laura Morante mi metteva in soggezione: poi l'ho conosciuta, e ho scoperto che è più pazza di me». Cresciuto a pane e cinema neorealista, De Sica aggiunge: «Grazie a mio padre, sono nato in mezzo a un sogno.
Da piccolo frequentavo Cesare Zavattini, che è stato il mio padrino. Questo è un mestiere meraviglioso, perché come diceva Mastroianni, “ce pagano pe giocà”. So di essere il re dei cinepanettoni, e non rinnego nulla». A proposito di panettoni, non si saprà mai se quello con cui un De Sica appena uscito dal carcere va in giro nelle sequenze finali del film di Avati, sia una scelta casuale. Oppure un ironico riferimento alla sua lunga carriera di commedie natalizie.
Foto By http://www.flickr.com/photos/fabiogis50/