Bologna. Un museo per i reperti sottratti. In San Giovanni in Monte primo allestimento con 180 pezzi
Notizia pubblicata il 07 aprile 2009
Categoria notizia : Cultura
COME SPESSO succede, si fa di necessità virtù. Se non fosse stato infatti stracolmo il magazzino della Soprintendenza in via Belle Arti, forse non ne sarebbero mai usciti i 180 reperti di illecita provenienza che sono ora restituiti alla pubblica fruizione nel complesso di San Giovanni in Monte dove ha sede il Dipartimento di Archeologia che è uno dei tre partner che hanno reso possibile l’operazione (gli altri sono la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna e il Nucleo Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale).
Di che si tratta? Dagli anni Sessanta al 2008 si sono accumulati sotto la cripta della chiesa che fa da aula magna all’Accademia di Belle Arti, circa 2.000 reperti frutto di sequestri, assegnati dal tribunale alla Soprintendenza per la custodia giudiziaria e poi definitivamente entrati nella sua disponibilità. Almeno un migliaio di essi finirà progressivamente nelle bacheche allestite tra aula Prodi e saletta limitrofa, in un percorso micro-museale organizzato per temi ed esemplificativo di varie epoche, dalla preistoria all’epoca post-classica con qualche pezzo di ceramica graffita rinascimentale.
IERI, alla presenza del Soprintendente Luigi Malnati e dell’archeologo responsabile dei depositi, Donato Labate, di Giuseppe Sassatelli, professore di Etruscologia e Antichità Italiche, già preside della Facoltà di Lettere e ora candidato rettore, e della collega Maria Teresa Guaitoli, e del comandante del Nucleo carabinieri tutela del patrimonio culturale per l’Emilia Romagna e le Marche, Ciro Laudonia, la presentazione dell’allestimento del primo nucleo fittile trafugato nel territorio dell’antica Daunia (la parte nord dell’odierna Puglia) e ritrovato nel 1963 nel Ravennate a casa di un ricettatore che cercava di piazzare la merce dei secoli VIII-III a.C. sul mercato antiquario. Il Ministero non ha mai informato la Soprintendenza dell’avvenuto giudizio e della sentenza passata in giudicato, «così — rivela Labate — solo un anno fa abbiamo saputo che tutto il materiale era già di nostra pertinenza per cui è partito il progetto di catalogazione, inventariazione, studio, restauro affidato a laureandi e dottorandi».
UNA PALESTRA che ha già prodotto tre tesi di laurea e che ha ridato voce a un patrimonio depauperato e reso muto dalla razzia che l’ha completamente decontestualizzato. «Perché — hanno ribadito sia Malnati che Sassatelli — troppo spesso si parla solo del valore venale della merce confiscata ma il vero danno consiste nella perdita d’informazioni provenienti invece dagli scavi ufficiali.
Queste ceramiche sono della Daunia interna o marittima, appartengono a una necropoli o a un deposito votivo?» Nonostante ciò, come detto, per loro si prepara un’esibizione permanente secondo un percorso virtuale già scandito sul web che prevede un focus sul raffronto tra pezzi autentici e falsi, sulla composizione dei corredi da mensa, sulla funzione rituale funeraria di vasi e terrecotte, sulla produzione locale di ceramiche e sui commerci da esse indotti. A ruota, lo stesso trattamento (manca solo l’inventariazione) sarà riservato ad altri 250 esemplari di età romana e del Ferro sottratti ai trafficanti, tra cui gemme di altissimo valore, monete d’argento e bronzo, anfore.
Ma la lotta al malaffare non conosce sosta (da noi è particolarmente in uso la tecnica di svuotare i cantieri di scavo di tutto quanto è metallico avvalendosi di metal detector) e con essa l’affannosa ricerca di nuovi spazi di stoccaggio. Il demanio ha appena reperito un magazzino in via Volto Santo mentre molte speranze sono riposte nell’interrato della caserma di San Mamolo, una delle aree militari dismesse per cui si prospetta una valorizzazione come quartier generale delle soprintendenze dei beni culturali e ambientali.
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