Il Ciangottini ritrovato. A Bologna personale dell’artista
Notizia pubblicata il 23 dicembre 2008
Categoria notizia : Cultura
UNA CINQUANTINA di opere per riscoprire, Giovanni Ciangottini, ‘Ciango’, giunto a Bologna dalla sua Umbria negli anni ’30 per studiare all’Accademia di Belle Arti, vissuto poi sempre qui, fino alla morte avvenuta dieci anni fa.
La mostra che si è inaugurata ieri (fino al 1° febbraio; ingresso gratuito) e che la Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna dedica, all’allievo di Virgilio Guidi, al pittore a cui si deve anche anche l’apertura nel ’42 della prima galleria d’arte contemporanea di Bologna — la Ciangottini, in via Zamboni —, rievoca un protagonista rimasto troppo spesso ai margini e, insieme, riapre alcune pagine centrali della storia artistica di Bologna. Come hanno spiegato, alla presentazione di ieri, Andrea Emiliani e la curatrice Michela Scolaro, Ciangottini muove dal clima della città morandiana, parecchio bloccato intorno al mestro di via Fondazza, per aprirsi, nel dopoguerra al confronto tra il realismo proclamato da Togliatti e le libere esperienze d’avanguardia.
LA RASSEGNA è intitolata, sulla scia di una titolazione — ‘Ritmi di portici’, serie di tempere del 1947’48 — cara a Ciangottini, Ritmi di terra e di mare. Il che dice abbastanza del contenuto delle tele, provenienti dalle eredi, le due sorelle dell’artista. Ma è bene leggere, su uno dei pannelli appesi alle pareti, certe parole scritte da Cesare Gnudi nel ’56, dove si enumerano, per il nostro pittore, la ‘negazione di ogni retorica’, la ‘rinuncia ad ogni effusione’, la ‘umiltà, chiarezza, finezza sentimentale’. L’azzurro un po’ sbiadito della veste della Donna che cuce, e i colorati capanni sul mare nella Marina lunga del ’47 confermano l’inclinazione delicata, lirica, musicale, a tratti persino crepuscolare di Ciangottini, del quale Emiliani, nel catalogo edito da Bononia University Press, sottolinea ‘un ruolo misurato, armonioso cantabile’. Ma è anche vero che la varietà di spunti, fino ai limiti dell’astrattismo e dell’espressionismo come nei paesaggi urbani del ’48, richiama anche una personalità libera, un gusto sperimentale, un’idea dell’arte come prova, come tentativo, qualcosa che per Ciangottini fu uno stile etico. Diceva di sè: «Non ho incarichi di insegnamento, non ho titoli onorifici, non ho mai lavorato né per Chiese né per camere del lavoro né per sedi di partito».
NON PER NIENTE questa mostra segue l’altra, sempre promossa dalla Fondazione del Monte, di Pirro Cuniberti. E’ bene continuare a ripetere, e a documentare, che la Bologna artistica del ’900 non fu solo Morandi, e che anche il compito di tenace, solitario lavoro di apertura assunto allora da Francesco Arcangeli andrebbe rivalutato senza tanti salamelecchi di rito. Di fronte all’arrogante realismo socialista incarnato da Guttuso i pittori bolognesi preferirono, anziché polemizzare — lo ha osservato la Scolaro — rispondere con le loro mani, con la loro arte. Una fortuna, perché fu così che in città poterono circolare la pop art e l’informale. Anche in questo Ciangottini, che non era uomo di prima linea, ebbe una parte che è bene rivisitare con le giuste accortezze. c. su.
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