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L’enigmatico Falconi sospeso tra luce e ombra. Le opere più recenti da sabato alla Cinquantasei

Notizia pubblicata il 16 aprile 2009



Categoria notizia : Cultura


C’E’ UNA DOPPIA chiave di lettura delle opere di Gigino Falconi che sabato (inaugurazione alle 18) approda alla Galleria d’Arte Cinquantasei (via Mascarella 59/b) con una cinquantina di dipinti dagli anni ’80 a oggi: quella più epidermica e d’acchito immediato mostra toni e figure soavi, languide nel loro abbandono, magnetiche con le loro carni turgide e morbide.

Ma c’è anche il dietro le quinte, l’ombra dietro la luce, un ordine sconvolto dietro l’apparente compostezza della facciata. E ben lo fa notare il curatore Sandro Parmiggiani (pure presente alla vernice) che parla, per il settantaseienne artista abruzzese di Giulianova, di “insopprimibile esigenza di teatralità”. Come se sul proscenio si recitasse un ruolo di luminosa serenità ma dietro le spalle corressero brividi e oscuri presagi.

«Così — dice Parmiggiani — ne Il lago dei cigni e nel Chant du compagnon errant del 2007 dove restiamo affascinati dal passo di danza ma parimenti ci coglie una sottile angoscia osservando la macchia scura degli alberi o la gola che lascia intravvedere un brano di paesaggio». E analoghi sentimenti suscitano Concerto al lago, Danza nella selva, Il centauro che giustappongono idillio e inquietudine: la melodia dei musicisti e l’albero entro cui lo stesso pianoforte pare annullarsi; le due fanciulle che ballano mollemente e i rami spogli degli alberi che paiono avvolgerle come serpi; gli arbusti nostalgici e il centauro, sinistra presenza oltre lo specchio d’acqua.

NON INGANNINO le immagini più decadenti dei volti di donna e dei nudi iscritti nei tondi (come succede in Profilo sul lago e Letture dantesche) perché l’ossessione per il lato oscuro della vita l’abbandona solo episodicamente (anche se negli anni più recenti i suoi paesaggi paiono riflettere una condizione di maggiore felicità e consapevolezza di quanto sia appagante arrendersi allo splendore, alla luce, ai colori) e dietro ogni sogno, ogni idillio, «lui vede inevitabilmente schiudersi la porta del dramma e della solitudine estrema».
I MITI e la memoria affascinano l’artista che di essi infarcisce gli oggetti che decorano i suoi quadri: sulle mensole compaiono oggetti familiari, foto da recherche proustiana che continuamente dialogano con il presente e il quotidiano «in un senso del tempo — spiega il curatore — che è profondamente debitore nei confronti della fotografia, del cinema e della rivoluzione del modo di vedere che essi hanno introdotto».

La metafisica di Falconi sposa la tradizione rinascimentale e quella fine-ottocentesca inglese, francese, belga, tedesca, il simbolismo e il giapponismo, lo Jugendstil e la Secessione viennese, «più due grandi pittori americani come Edward Hopper e Alex Colville».
La sintesi è però originale, al punto da aver fatto coniare per la sua pittura la definizione di “straniera in terra straniera”.

foto by http://www.flickr.com/photos/lastellablu