Un mondo volante nel deserto dell’Arizona
Notizia pubblicata il 04 giugno 2009
Categoria notizia : Cultura
GLI AEROPLANI di Thomas Florschuetz non volano, sono fermi, allineati in un’area desertica, affiancati secondo un ordine di parata che è come un’istantanea di ciò che è stato. Qui, sotto il sole, i riflessi delle lamiere si fanno un gioco di affocati ricordi.
Al fotografo tedesco non interessa la tecnologia aerospaziale, probabilmente si considera estraneo a satelliti, reattori, propulsori e via dicendo. Ciò che lo colpisce deve essere il senso di un passato che nella raccolta di gloriose anticaglie trasmette il senso di un’impermanenza che nel dettato emozionale si fa nuova realtà. Quanti territori e quanti mari avranno sorvolato questi aerei? E quante storie si portano dietro?
Mezzi militari e civili, macchine da guerra o da trasporto, un mare metallico che Florschuetz ha attraversato con l’occhio incollato all’obiettivo. Bulloni, ingranaggi di ogni genere, carlinghe, eliche, un mondo volante atterrato per sempre in una sorta di Spoon River, un cimitero-museo istituito in una zona arida dell’Arizona dove non c’è pericolo che l’umidità intacchi il metallo. Il viaggio in questo mondo dei motori spenti è durato il tempo necessario per raccogliere materiale per una mostra intitolata “Jets” (nella foto un’opera), tante immagini di cui una parte proposta alla Galleria Astuni (via Barozzi 3, fino al 15 luglio): qui sono stati allineati grandi pannelli che, nella ricerca del particolare e del colore, denotano attenzione al dato pittorico.
CIO’ CHE ha colpito l’artista non è tanto la veduta d’insieme o le linee degli aerei, quanto il particolare, come un portelletto, una scritta tipo Battery Location, qualche sigla impressa su ferri ossidati. Le immagini non sono stereotipi dell’oggettività, per cui i cosiddetti dettagli del reale sono stati presi a testimoni dello sguardo e della intensità espressiva dell’autore. Come fosse sollecitata da una nuova interiorità, la stesura del lavoro diventa visione diversa delle cose, estranea a una realtà che lo scatto trasforma sulla base di un pensiero che s’accompagna alla fantasia.
Quali storie, quali battaglie, quali viaggi e quali mondi? L’obiettivo smuove la pellicola di memorie e suggestioni che nella trasposizione artistica si fanno vicende personalizzate dall’emozione del momento.
QUELLA di Florschuetz è una poetica che elude l’organizzazione dei dati ricavati dall’occhio; nel fotografare egli non deve aver tenuto conto della semplice percezione visiva, ma di ciò che un’ombra, una parola o una scalfittura gli hanno suggerito al di là, appunto, dei dati oggettivi. Nel deserto dell’Arizona ha perlustrato un mondo messo in fila dal ricordo, ha volato a modo suo trasformando tubi di plastica e marchingegni di ghisa in elementi da distribuire secondo la cadenza dell’otturatore.
foto by http://www.flickr.com/photos/betterthanyourluckystar/