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Modena 'La mia pittura fra le ombre' Il premio Terna ad Andrea Chiesi

Notizia pubblicata il 01 gennaio 2009



Categoria notizia : Eventi


«QUANDO mi chiedono cosa faccio per vivere, di solito rispondo: ‘Dipingo relitti’». Si presenta così Andrea Chiesi, classe ’66, nato e cresciuto a Modena, dove ancora oggi vive e lavora. Recentemente si è classificato primo nella categoria MegaWatt del Premio Terna per l’arte contemporanea, concorrendo proprio con uno dei suoi amati relitti.

L’opera vincitrice, infatti, appartiene alla serie Kali Yuga ed è una colossale torre ‘rubata’ nel 2006 alle acciaierie di Cornigliano (Genova). Una struttura imponente e perfetta nel suo rigore geometrico, ma dotata di un’anima, come tutti i luoghi dell’industria pesante che figurano nei suoi dipinti.
Da dove nasce l’esigenza di ridare vita a luoghi dimenticati?
«Sono affascinato dai luoghi densi di storia, che hanno a che fare con la memoria e col tempo: archeologie industriali e spazi abbandonati, come ospedali, scuole, istituti psichiatrici. Attraverso lo studio delle luci e delle ombre, cerco di farli rinascere in uno spazio immaginario in cui c’è solo una ‘traccia’ della realtà, di quello che è stato».

Nelle sue tele c’è una totale assenza di colore e di figure umane, come mai?
«Tutti gli artisti, qualsiasi media utilizzino, danno corpo alle loro ossessioni. Un pittore, ad esempio, tende a dipingere lo stesso quadro attraverso infinite variazioni, perché è quella l’ossessione, quello è l’amore. Io sono attratto dalla struttura e dalla ricerca del contrasto tra luce, ombra e penombra. Mi interessa l’essenzialità delle cose: il colore è un’aggiunta decorativa, superflua. Gli spazi urbani per me sono ‘corpi’ dotati di vita. Mentre le figure umane continuano a vivere nei miei disegni più intimi».

La matita e il pennello sono strumenti molto diversi tra loro?
«Il disegno è un approccio molto più istintivo, immediato. Manca tutta quella fase di costruzione, quella progettualità che c’è nel dipinto a olio. Dipingere è un po’ come scrivere un romanzo o dirigere un film: la tela a olio ha una struttura, uno svolgimento, è una cosa molto complicata da gestire e da tenere sotto controllo. Il disegno è uno ‘schizzo’, un gesto più veloce e più intimo».

Cosa la muove, l’istinto e la passione o lo studio e la ragione?
«Il pittore procede con due gambe: una è la progettualità, l’altra è la manualità. Alla base c’è un percorso intellettuale e subito dopo viene la tecnica, il lavoro della mano che procede col tempo e con la fatica. La naturalezza del gesto pittorico è solo apparente... La parte istintiva, poi, è tutta nel risultato finale: a livello di percezione, di sguardo, di emozione trasmessa. Lì c’è sempre la ‘pancia’, l’aspetto più interiore. Ma ciò che viene prima è un percorso di testa, molto mentale e studiato».

Progetti futuri?
«La mia prossima personale sarà a Bologna dal 7 marzo, alla galleria Otto. Si intitolerà ‘Elogio dell’ombra’: una citazione di Borges che fa riferimento al percorso di approfondimento delle ombre nei miei dipinti. In primavera sarò a New York con nuove tele e un excursus del lavoro degli ultimi due anni».
foto by http://www.flickr.com/photos/