Con Penone alle radici dell'arte. MAMbo gli dedica fino all'8 dicembre una personale. Oggi vernice
Notizia pubblicata il 24 settembre 2008
Categoria notizia : Cultura
ARTE POVERA: ovvero, riandando alla definizione critica di Germano Celant, che nella seconda metà degli anni '60 la tenne battesimo, ricorso a materiali poveri - ferro, stracci, legno, plastica, scarti dell'industria - per ritrovare le radici primarie della contemporaneità e del suo linguaggio
Del movimento, che tra gli altri esponenti conta Kounellis, Ceroli, Pistoletto, Merz, Gilardi, Pascali, Giuseppe Penone, nato nel 1947 in provincia di Cuneo, diventa subito un nome di punta ed entra via via, progressivamente, nei musei e nelle collezioni private di tutto il mondo. E proprio Celant parlava anni fa, a proposito del suo lavoro, della presenza di legami archetipici. Con la propria terra di montagna. Ma anche con l'idea primigenia che l'arte, la scultura, non sono fatte per il tempo veloce delle tecnologie, ma per la comunicazione di lunga durata con ciò che é arcaico.
A cominciare, per Penone, dal legno (la serie Alberi) che campeggia nella manica lunga, all'ultimo piano di MAMbo, per la personale che il museo gli dedica da domani all'8 dicembre (vernice su invito oggi alle 18; martedì domenica 10-18; giovedì 10-22; lunedì chiuso; ingresso intero 6 euro, ridotto 4; catalogo MAMbo/Ikon Gallery; info 0516496611).
Curata dal direttore di
MAMbo, Gianfranco Maraniello, che ha sottolineato l'intento di fare del museo sempre più un centro di produzione artistica e culturale e sempre meno un luogo di passiva diffusione di avvenimenti, la mostra, vista in anteprima, ripropone, attraverso una cinquantina di sculture e dipinti e oltre 100 tra disegni e foto gli ultimi quarant'anni dell'attività di Penone, da 'Soffio di creta' e 'Soffio di foglie' della fine degli anni '70, a 'Pelle di grafite' (2003-2006), con le impronte che l'artista marchia su materiali 'dolci', e a due recenti sculture in bronzo e acciaio inossidabile poste sotto il titolo 'Geometria nelle mani'.
MA LE grandi 'Spine d'acacia', realizzate in seta e tela con le spine sporgenti come aculei che rinviano, insieme e in maniera inquietante, a un mondo che é tutt'uno, animale e vegetale, vivo nel momento in cui lo guardi e appeso alla memoria dell'autore, danno al visitatore una delle sensazioni più forti. Penone sembra voler dire che qualunque movimento nello spazio é già scultura, anche il respiro, il soffio come a lui piace chiamarlo, che é nello stesso tempo uno scoppio di vento e la funzione vitale dell'uomo.
Se non fosse un paragone troppo lirico, verrebbe in mente il 'panismo' di uno scrittore come Pavese, piemontese anche lui, anche lui attaccato agli alberi, alle piante, alle foglie, ai cespugli della sua terra. Come guardare un'esposizione dove anche l'allestimento é un'opera in mostra? Partendo, per esempio, da ' Rovesciare i propri occhi', un'elaborazione fotografica in sette diapositive del 1970, nella quale Penone, indossate delle lenti a contatto riflettenti, lavora sul suo stesso sguardo quasi fosse quello di un cieco, e ciò segnasse un diaframma verso l'esterno. E' una barriera che Penone gioca a porre e cancellare di continuo. Come se non fossimo più noi a guardare la realtà , ma la realtà a guardare noi.c. su.
foto by http://www.flickr.com/photos/sovversivo_amore
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