Forli. Eterno Macbeth La sua follia vi travolgerà
Notizia pubblicata il 13 marzo 2009
Categoria notizia : Spettacoli
GABRIELE LAVIA è Macbeth, interprete di una tragedia oscura e inquietante. Una tragedia da incubo, in cartellone fino a domenica al teatro Fabbri (info 0543-712170, oggi alle 18.30 al Foyer ci sarà un incontro con il pubblico).
Il male è dentro Macbeth e questo male diviene man mano sempre più potente e inarrestabile, come un pugnale nella mente tanto da togliere il sonno al protagonista. Ogni elemento della scenografia è in funzione della follia e della paura che dominano sovrane.
Particolarmente efficace la scena dello specchio in cui compaiono figure che fanno profezie e quella dell’armatura che scende dall’alto. Oggi e sempre, anche in quel ‘Domani e domani e domani’ così invocato da Macbeth/Lavia. «La vita è un’ombra che cammina — dirà Macbeth nel famoso monologo —, un povero attore che si agita sulla scena, ma di cui non resta alcuna memoria». E concluderà: «La vita è una storia raccontata da un idiota».
GRANDE ATTORE, capace di indagare in modo sorprendente fin nelle più sottili frange della psiche umana, Lavia offre un’interpretazione di grande qualità. Il suo Macbeth è un uomo vinto dal male e dall’ambizione, ma anche tormentato dagli incubi e dalle paure. «Abbiamo tagliato il serpente — le parole sono sempre di Macbeth — ma non lo abbiamo ucciso». Un personaggio per certi versi moderno con spaccature che Lavia sa far emergere con grande calibro. L’ambientazione è quella degli anni ‘30, quella della dittatura nazista. Il fondale è formato da teli trasparenti davanti e dietro i quali si alternano i ruoli di realtà e finzione declinati dagli attori.
Il palcoscenico ricoperto di terra, le assi di legno che collegano il palco con la platea, un ammasso di abiti, bauli di trovarobato, riflettori e anche il lavandino con lo specchio: tutto ha un preciso significato. Così come lo ha il rosso del sangue e la necessità, anche emblematica, di lavarsi le mani sporche di sangue nel lavandino/coscienza, oppure l’osservare la propria immagine nello specchio, come rito preparatorio del ‘fare’ e quindi anche dell’uccidere. Dunque la realtà e il suo doppio: i volti sono la maschera dei cuori.
ACCANTO a Macbeth c’è la moglie, lady Macbeth (Giovanna Di Rauso) la mente degli efferati crimini, la donna spietata che spinge il marito a compiere i delitti e lui, povero burattino, volge le spalle al pubblico come nella scena del convito dei sudditi, anch’essi marionette che si muovono e applaudono quasi a comando, tanto che i ruoli di personaggio e di attore si intrecciano e si confondono. Il desiderio di potere di Macbeth scatena una pluralità di sensazioni che vanno dalla violenza all’angoscia e alla paura di essere scoperto e, di conseguenza, perdere quel ‘potere’ che ha condizionato la sua vita. «Ho poppato ogni specie di orrore fino ad ingozzarmi», dirà il tiranno, presentandosi quasi come un clown grottesco, con un cappotto dalle spalle larghe, le scarpe con zeppe. E in testa, una corona di carta.
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