Forli. Il giovane Mussolini? Più romagnolo che socialista Cortesi ricostruisce gli esordi politici del duce
Notizia pubblicata il 02 febbraio 2009
Categoria notizia : Cultura
IL GIOVANE Benito ardente rivoluzionario socialista e il maturo Mussolini dittatore guerrafondaio e totalitario sono la stessa persona? Qual è la svolta che ha trasformato l’uno nell’altro? Paolo Cortesi nel suo «Quando Mussolini non era fascista» s’interroga sui primi anni della vita politica del futuro duce del fascismo e va al fondo della questione della più straordinaria trasformazione politica del Novecento.
Cortesi non trova certo una spiegazione rivoluzionaria — impossibile farlo: i milioni di libri sul dittatore hanno già detto tutto e il contrario di tutto — ma fornisce una chiave interessante ed estremamente documentata per fotografare passo passo la genesi del dittatore. CON UNO STILE incisivo e appassionante, l’autore forlivese demistificata la retorica della ‘romagnolità’ di Mussolini (un mito costruito ad arte dal fascismo per affogare nel ruralismo il ribellismo romagnolo) per rintracciare invece nelle parole e nei gesti del giovane Benito i germi del dittatore.
Lontano dal riformismo e dall’analisi scientifica del marxismo dei maestri socialisti, il Mussolini che sgomita tra i rivoluzionari forlivesi e poi italiani è imbevuto piuttosto degli scritti di Sorel, Nietzche, Bergson. Disprezza il parlamentarismo, la crescita democratica delle masse e impugna invece come randelli gli slogan e la ‘fede’. Randelli neanche tanto metaforici, come quello nodoso che agita sotto il naso di un ‘crumiro’ a Predappio: «A mument at svirgul!». Un episodio che finisce dritto nel mito protofascista come anticipazione del santo manganello squadrista.
UNA PARTE ampia e ampiamente godibile del libro di Cortesi è dedicata a tratteggiare l’ambiente in cui Mussolini muove i primi passi. La Predappio povera e contadina. La Forlì dei braccianti e dei ricchi borghesi, delle osterie (una delle passioni del poi astemio Benito) e dei bordelli, dei circoli politici e delle piazze. Uno sfondo sul quale si agita il giovane rivoluzionario, prima detto ’e mat e poi ‘e profesor. Fino a quando, nel 1912, guida la cacciata dei riformisti dal partito socialista e conquista l’ambita poltrona di direttore dell’Avanti. Il trampolino di lancio per la sua eccezionale e tragica (per lui e per l’Italia) carriera politica. Emanuele Chesi
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