Quando Bologna era una città libera
Notizia pubblicata il 23 gennaio 2010
Categoria notizia : Cultura
L’INTERVENTO «Se il futuro di quel tempo è il nostro tempo, significa che la città non ha saputo cercarsi un futuro». “Non disperdetevi” non è nostalgia, ma racconta ai giovani quel fermento. Ho voluto inserire nella prefazione del libro una citazione sul punk di Hank Pierce che ritengo significativa e che vale per tutti i movimenti del mondo: «Nel momento in cui si pubblicano libri che discutono e raccontano l’importanza di qualunque ‘movimento’, significa che quel ‘Movimento’ è già morto. Non voglio dire che il punk era privo di senso, ma semplicemente che ha avuto per molti di noi la funzione di salvagente della vita».
Non disperdetevi non vuole essere un libro sulla nostalgia, operazione che risulterebbe sterile, ma piuttosto sulla creatività e sull’energia vissuta in quegli anni, per provare in qualche modo a trasferirla, raccontandola,
ai giovani di oggi, per riaffermare (oggi più di allora) il bisogno di riconoscere oltre che se stessi, gli altri, di fornire valore all’insieme piuttosto che alle singole identità.
Non vuole nemmeno celebrare quel particolare momento di Bologna, ma solo documentarne la singolarità e la complessità per indagare su quali furono gli elementi e le azioni che contribuirono alla sua nascita. Documenti e ricordi (oltre 60) tra i tanti possibili, per restituire di quel periodo una percezione più articolata di quella tradizionalmente nota. Quelle stagioni sono passate nei giornali, o nelle corti di giustizia, come anni
di piombo. Una descrizione riduttiva e ingiusta per Bologna. Furono anni più ricchi di politica, utopia, desiderio, progetti, piuttosto che di terrorismo.
Tanti mi hanno nel tempo domandato di raccontare le emozioni di quegli anni, ma raccontarle non ha mai lo stesso valore, seppure può essere un esercizio stimolante. Noi non volevamo farci ‘rubare la vita’ e abbiamo sognato e immaginato un futuro diverso. Se il futuro di quel tempo lì invece è il nostro tempo, vuole dire che forse la nostra città non ha saputo cercare un proprio futuro. Bisogna sottolineare che è stato un momento in cui Bologna rifletteva una contemporaneità e una affinità artistica e culturale con grandi metropoli come New York, Londra o San Francisco.
Bologna era un punto cardinale e tutte le persone che volevano capire, arrivavano portando qualcosa di loro. Così, si mescolavano nel tessuto cittadino e contribuivano alla sua creatività: e l’effer vescenza artistica si è resa visibile. E lì la città si è ripiegata su se stessa, e anziché sfruttare le intuizioni e le aspirazioni di quel movimento magmatico, ne ha avuto paura, rinunciando a darsi una prospettiva diversa. Ritengo che,
se il 77 viene identificato come l’ultima significativa forma di movimento culturale e politico sviluppatasi in Italia, questa peculiarità sia stata determinata dalla fortunata sintesi di due elementi naturalmente distanti,
forse antitetici: ragione & istinto.
La politica, i cui strumenti primari sono la dialettica e il ragionamento, teorizza un percorso e poi ne cerca l’a pplicazione. L’atto creativo invece è istinto puro: il subconscio elabora e filtra le emozioni fino a farle esplodere in tutta la sua forza. In quegli anni queste due cose si sono mirabilmente intrecciate alimentandosi l’una dell’altra. Bisognava essere lì, allora, per elaborarne la straordinarietà e coglierne l’intensità.
La morte di Francesco Lorusso paradossalmente offriva una straordinaria contropartita: il riconoscimento di sé e il valore di una funzione collettiva, il senso di appartenenza a uno strato sociale nuovo, l’identificazione con un progetto “rivoluzionario”, la cui principale arma erano creatività e linguaggio.
E se per alcuni il convegno sulla repressione rappresenta la fine simbolica di quel Movimento, per tanti altri segna l’inizio di una vita diversa. “Affinchè la morte ci trovi vivi e la vita non ci trovi morti”, una delle tante scritte apparse sui muri, racconta molto dello spirito con il quale siamo ‘diventati grandi’ e abbiamo affrontato la nostra vita lavorativa. Se non siamo noi, che li abbiamo vissuti, a testimoniare la reale dimensione storica di
quegli anni, altri ne faranno quello che non è stato. Non tutto è andato perduto: come giustamente sottolineato da Maurizio Marinelli (Baskerville), internet è il mondo nel quale le istanze del 77 hanno trovato casa. Le cose che succedevano in quegli anni, in tempi diversi in luoghi diversi, hanno generato la realtà della rete come fenomeno culturale, sociale ed economico