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Parole scolpite. Libri opera di Trubbiani.
Notizia pubblicata il 11 marzo 2009
Categoria notizia : Cultura
PUÒ UN GRANDE scultore essere anche un grande scrittore? Naturalmente sì. Soprattutto se è capace di «scolpire la parola», di usare la penna come una sorta di «prolungamento» dello scalpello, per esprimere con il linguaggio quello che la materia può solo evocare.
Per Valeriano Trubbiani la scrittura è un amore assoluto (e corrisposto), uno stimolo irresistibile, quasi complementare alla sua arte. Per la terza volta questa passione si concretizza in un volume, «La parola scolpita», che riecheggia i due titoli precedenti: «Parola di scultore» e «Scultura nella parola». Si tratta di una serie di scritti scelti che spaziano dal 1980 al 2007, dedicati in gran parte ad Ancona, città di adozione dell’artista, ma anche al poeta Bruno Arzeni, maceratese come lui, e ai Bronzi di Cartoceto.
Il cuore del libro è però la Dorica, raccontata, rivissuta, trasfigurata, reinventata con le parole, ma anche con le immagini di alcuni capolavori (ad ogni opera è affiancato il disegno corrispondente) che hanno come temi ricorrenti gli animali, il mare, la storia, l’archeologia: c’è San Ciriaco e il suo «bestiario», Francesco Podesti e la Mole Vanvitelliana, il Museo Omero, lo scultore Galileo Emendabili. E tra «Pensieri sul mare» e «Profezie e sogni» si staglia la figura di Traiano, di cui Trubbiani ricorda la mostra «Ai confini dell’impero». «L’area portuale traianea» è invece il titolo della splendida litografia (35 copie) «allegata» al volume, e introdotta da un ispirato scritto del poeta Francesco Scarabicchi. A curare il volume nella sua parte grafica è stato Stefano Sampaolesi (sua la bella copertina in cui «interpreta» un lavoro del Maestro), mentre la prefazione e la veste tipografica sono opera del professor Simone Dubrovic (anconetano doc, a dispetto del nome), che insegna lingua e cultura italiana al Kenyon College di Gambier, nell’Ohio. «Trubbiani fa parte della categoria degli artisti-scrittori — spiega Dubrovic —, coloro che cercano di trasferire nel linguaggio la forza e la presenza fisica delle immagini.
C’È IN LUI la necessità di utilizzare uno strumento non visivo per approfondire ciò che l’arte plastica non riesce ad esprimere. Trubbiani scrive per immagini». Nella prefazione Dubrovic si chiede di che cosa tratta il libro, e risponde: «Di molte cose: di scultura, metalli, asperità della materia, crudeltà della creazione, vulnerabilità, ossessioni archeologiche, animali, aldilà lirici, mari e ponti». E poi avanza un’ipotesi sul lavoro letterario di questo «poeta della materia»: «Forse nella scrittura Trubbiani realizza con levità quello che in scultura è costretto ad arpionare e corazzare con pesantezza». Quanto al rapporto fra Trubbiani e Ancona, Dubrovic parla di «dialogo che investe una meditazione sul tempo, passato, presente e futuro. La visione non è utilizzata come scenografia, ma come lucida meditazione. Luoghi e presenze rimandano a una visione più ampia, che riguarda anche il lavoro dell’artista, la creatività, il fare scultura. Forse mai Ancona è stata oggetto di una riflessione così intensa, capace di trascenderla e investirla di significati profondi».
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