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Il mio acuto da favola

Notizia pubblicata il 16 febbraio 2009



Categoria notizia : Musica


IL DESTINO spesso manda segnali criptati e in forme ben poco ortodosse. L’importante è saperli cogliere lo stesso. E l’animo da artista in questo può essere davvero molto utile.

Se n’è accorta l’estate scorsa Gladys Rossi, 30 anni, romagnola di Bellaria, ex cantante di piano bar al Grand Hotel di Rimini e ora soprano in ascesa dopo la Violetta anticonvenzionale che Denis Krief le ha affidato nella verdiana “Traviata”

«Ma è stata un’opera nata sotto una speciale benedizione — rivela lei da Bilbao dove è impegnata nella Frasquita della Carmen —. L’estate scorsa, a corto di quattrini per dover restituire i 600 euro presi a prestito per andare all’audizione di “Traviata”, ho fatto la promoter per una nota ditta di cancelli automatici e come si chiamava il mio patron? Verdi. E il primo cliente al cui banco mi sono presentata? Alfredo. Intanto io studiavo nell’intervallo dalle 12 alle 14 nelle chiese. Sì, nelle chiese. Bussavo per trovare un po’ d’ombra e di frescura e nessun “don” mi ha mai negato di fare i miei gorgheggi in una qualche saletta del catechismo». In quest’aura di favola a lieto fine s’inseriscono le altre tappe già sicure di una carriera acerba ma fortemente voluta: un’“Adriana Lecouvreur”, una donna Elvira nel “Don Giovanni”, e poi i sogni: “Lucia di Lammermoor”, la Gilda del “Rigoletto”, l’Amina della “Sonnambula”.

Ma per una ragazza che sognava le ribalte pop, com’è avvenuto l’inaspettato salto nel mondo della lirica?

«Io ho sempre cantato e il primo festival fu a otto anni nella parrocchia di Bellaria. Sono appassionata di Modugno, di De Andrè, di Nilla Pizzi e uso il suo “Grazie dei fiori” addirittura per i miei vocalizzi. Però già nel ’98-’99 chiudevo tutte le mie performance di piano bar con un’aria d’opera perché 3-4 anni prima avevo trovato una cassetta di Katia Ricciarelli come gadget in un bagnoschiuma e m’innamorai letteralmente della sua voce. Provando a imitarla negli androni di casa, mi accorgevo che in maniera naturale riuscivo a farlo. Così nel 2000 mi affidai al maestro Alain Billard a Ferrara e fu lui il primo ad accorgersi delle mie potenzialità».

E lei come visse il ribaltone?
«Come un tradimento rispetto a tutto quello che avevo fatto fino ad allora. E’ anche vero però che è del tutto innata in me la capacità di far nascere il personaggio. Mi ricordo che quando ancora tentavo la carriera nella musica leggera, venni sentita per un’audizione da Roberto Rossi della Sony nello stesso giorno in cui provinava anche Paola e Chiara. Bene, lui mi disse che avevo una gestualità molto teatrale forse a causa di un prolungato studio di canto lirico. Beh, io non avevo mai studiato canto lirico».

Fisicamente comunque ha ben poco del soprano tradizionale...
«Sono 52 chili e in questo devo dire che incarno un po’ la nouvelle vague della lirica che non privilegia più solo i donnoni».
Dopo Billard, chi l’ha formata?
«Margaret Baker Genovesi la raggiungevo a Roma partendo ogni mattina alle 4 e tornando la sera per la E45. E’ durata un anno e l’ho fatto sempre allegramente meravigliando lei per prima. Poi è entrata nella mia vita Luciana Serra: fondamentale».

Punti forti e punti deboli?
«La mia ingenuità che diventa incoscienza e mi dà un coraggio incredibile. Forse una persona più consapevole si sarebbe irrigidita e non avrebbe dato il meglio di sé».
Cosa dice il fidanzato ottico?
«Intanto, guarda caso, ha anche lui un nome operistico, si chiama Alvaro, ha 43 anni, stiamo insieme da sei e da tre conviviamo. Diciamo che essendo entrato nella mia vita proprio all’inizio dei miei studi lirici, ha vissuto al mio fianco anche i momenti più difficili».

foto by http://flickr.com/photos/levilo/