Jazz: Anniversario al Naima. Ricordi Chet Baker? Due trombe solo per lui
Notizia pubblicata il 07 marzo 2008
Categoria notizia : Eventi
Jazz sospeso fra nostalgia e attualità stasera al Naima di via Somalia, per il primo atto delle celebrazioni dei 25 anni del club. L'intenzione é di ricordare il grande concerto, di Chet Baker, del 1 marzo del 1984 all'allora Ciaika. Sul palco, stasera, Marco Tamburini, trombettista originario di Cesena con il suo quartetto e un ottimo ospite, Flavio Boltro, pure lui virtuoso della tromba.
La serata inizia alle 20.30: all'ingresso verranno esposte 18 foto del concerto di Baker, scattate da Massimo Zattoni, fotografo scomparso nel 1990 a soli 29 anni, e Rover Ragazzini. Alle 21 verrà proiettato lo struggente film 'Let's get lost', dedicato a Chet Baker. Il concerto di Tamburini inizierà alle 22.30, biglietti a 15 euro (serve la tessera del club, info 335-314568).
Qui sotto pubblichiamo il ricordo di Michele Minisci, direttore artistico del Naima, del concerto di Baker del 1984.Â
di MICHELE MINISCI
* Direttore artistico del Naima clubÂ
NONOSTANTE le brutte vicissitudini in cui incappò, anche nel periodo italiano la fama di Chet, musicista maledetto bello e dannato, il James Dean della musica jazz, perdurava ancora con forza, e le sue performance alternavano momenti di grande intensità e lirismo ad altri di mediocre rendimento. Ma in ogni modo sempre da vedere, da sentire. Per noi era la prova del fuoco: un mito della musica jazz, Chet Baker, stava per venire a suonare al Naima. Era il marzo del 1984, quattro anni prima della sua morte.
LA SERA del concerto la band di Chet era già al Ciaika di San Martino in Strada: il flautista Nicola Stilo, il contrabbassista Riccardo del Prà , il pianista Michel Grailler avevano finito il soundcheck. Li avevamo accompagnati al ristorante vicino, il Baiocco, per la cena. Chet non aveva bisogno di provare. Non rimaneva che aspettare la gente ed andare a prendere Chet all'Hotel Masini, nel centro di Forlì.
Arrivato in hotel, colpo apoplettico: il portiere mi assicura che «il signor Baker é appena uscito». All'ansia si accumula altra ansia: mi precipito fuori, guardo a destra ed a sinistra, con l'angoscia che mi si spande sempre più nel petto e mi prende la gola. La paura mi attanaglia le gambe, la paura di averlo perso, infilato in chissà quale bar a bere un altro cicchetto, la paura di non ritrovarlo in tempo per il concerto, con tutte le conseguenze del caso.
IL MIO ANGELO custode, però, forse l'angelo di tutti i jazzisti, mi dice che devo andare a destra, verso il fondo di corso Garibaldi.Mi incammino facendo capolino dentro tutti i bar del corso e…finalmente lo vedo: é seduto nel bar di piazza Melozzo che sorseggia un Trebbiano. Ha l'astuccio della tromba tra le gambe, lo sguardo fisso sul bicchiere, come se aspettasse qualcuno, o dovesse far passare il tempo. Il resto é storia. Storia della musica in questa città , anche se non é stato un concerto storico: Chet stava certamente bene, ma il suo momento magico era però passato.
AVEVA LASCIATO al piano di Michel Grailler le prime battute del pezzo e poi era subito entrato lui, in maniera soffusa, quasi con noncuranza, come stesse continuando un discorso musicale interrotto qualche tempo prima, per riannodare qualche filo rimasto sospeso, aggrovigliato.
Era come se niente fosse successo in questi suoi ultimi, travagliati, anni, tra successi travolgenti, amori disperati, l'eroina, i problemi con gli spacciatori, il carcere. Niente. Tutto dietro le spalle, in quel momento soffiava dentro la sua tromba solo il respiro della sua anima, non gliene fregava niente di sapere che, nonostante tutto , esercitava ancora sul pubblico un fascino quasi morboso non solo per la sua storia musicale ma anche per la sua vita spericolata, esisteva solo lui e la sua tromba.
E MENTRE le note di 'Petit Fleur', di Sidney Bechet,
sfumavano dolcemente tra gli applausi del pubblico del Ciaika, ecco che Chettie, così lo chiamava spesso sua madre, inizia a cantare, senza alcun accompagnamento, 'Blue Room', pezzo per sola voce, che raramente proponeva nei suoi ultimi concerti. Un momento veramente magico. Poi aveva concesso molto spazio ai suoi compagni, anche troppo, forse per riposare, riprendere fiato perchè si vedeva che si stancava presto. Ma non appena rientrava nel pezzo, ti sembrava di sentirlo suonare come avesse ancora accanto Gerry Mulligan o Stan Getz, e di rivederlo sui palchi di tutto il mondo, osannato come il miglior rappresentante di quella lost generation che aveva tracciato negli anni cinquanta un nuovo corso musicale nella storia del jazz.
(foto by http://www.flickr.com/photos/ziowoody)