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Pesaro.«Quando Mattei scommise su di me».Giuseppe Accorinti racconta gli anni trascorsi accanto al fondatore dell’Eni

Notizia pubblicata il 05 maggio 2009



Categoria notizia : Cultura


ENRICO Mattei è stato un protagonista della storia italiana. Non solo dell’industria petrolifera ma anche di quella editoriale e imprenditoriale. Un uomo “asimmetrico” come lo ha definito Giuseppe De Rita: che ha cambiato, rivoluzionato, segnato la sua epoca ed anche la nostra. Un uomo, un leader, un big player sempre per usare le parole di De Rita.

Un vero, grande protagonista che Giuseppe Accorinti ha conosciuto e con il quale ha lavorato fianco a fianco. E il suo libro Quando Mattei era l’impresa energetica, io c’ero è il racconto di questa esperienza profonda di vita oltre che professionale. E’ una testimonianza fresca e vitale che ci porta direttamente in medias res: al cuore di un mondo, a contatto con un uomo (oltre che un grande manager) che è riuscito a cambiare davvero, a dare un’impronta ma soprattutto a realizzare un sogno.

Lavorare all’Eni lavorare con Mattei cosa significava?
«Bisogna tornare al secondo dopoguerra: un Paese distrutto, una grande disoccupazione anche intellettuale, ma anche una grande smania di ricostruire: e quindi nei giovani, ma non solo nei giovani perché fu una grande reazione di tutti gli Italiani, una grande speranza o meglio una grande scommessa sul futuro.

Mattei l’incarnava con grande coraggio e proponeva tutto ciò a chi voleva lavorare con lui. E quindi la grande scommessa sui giovani (l’età massima alla quale faceva i dirigenti erano i 35 anni: a quei tempi nelle grandi industrie italiane si arrivava alla dirigenza intorno ai 50 anni..); a tutti però richiedeva la massima disponibilità al cambiamento: si faceva carriera in breve tempo ma la regola, anche se non scritta, era che al primo errore si andava a casa: non c’erano sessioni di appello.

Ma tutto questo era molto stimolante e i successi che Mattei andava ottenendo si riverberavano sulla considerazione che trovavamo all’esterno: in particolare all’estero noi non apparivamo, come avremmo potuto, come la società petrolifera di un Paese che aveva perso la guerra: ma il prestigio era tale che noi eravamo l’emblema di un’Italia “vittoriosa”. A 34 anni in Africa sono andato a trattare con due grandi capi di stato (Senghor del Senegal e Huphouet Boigny in Costa d’Avorio) che non si sorprendevano affatto che Mattei mandasse in giro giovanotti a rappresentarlo».

Mattei manager?
«Non basta dire manager perché Mattei aveva, contemporaneamente al fatto che era un grande manager capace di scelte coraggiose, del tutto innovative e quindi di grande modernità e sempre scelte valide nel lungo periodo e nelle quali metteva sempre la faccia andando in tv, cosa che allora pochi imprenditori facevano, ma aveva anche due altre caratteristiche fondamentali delle quali la prima veramente essenziale; era un leader: perché aveva una capacità incredibile di motivare la gente. Non era solo il grande capo al quale tutto e tutti facevano riferimento (lo era, accidenti se lo era…), era soprattutto il principale perché oltreché comandare, lavorava con noi, ci aiutava, ci stimolava».

Mattei uomo?
«Era timido e la gente non lo direbbe proprio: raramente alzava la voce e raramente si arrabbiava: certo che quando era arrabbiato era meglio che si fosse aperta una buca nel pavimento per sparire… Era certamente un accentratore, spesso una caratteristica negativa nelle imprese mentre nel nostro caso, in cui si doveva costruire tutto quasi da zero, era molto positivo perché così quando uno aveva parlato con lui le cose erano decise e si decidevano in fretta.

Aveva grande memoria, e l’ho già detto: il professor Boldrini, vice presidente Eni e poi presidente per qualche anno alla morte di Mattei, un uomo fondamentale per la crescita umana e poi politica e imprenditoriale di Enrico, marchigiano come lui diceva che Mattei era una spugna; il giornalista Italo Pietra che aveva il cervello prensile. Metteva in ogni cosa, e la trasmetteva agli altri, una volontà tenace: non si dava mai per vinto. Era coraggioso: a volte sembrava troppo.

Ma era uno che rifletteva a lungo nelle ore di pesca ma poi partiva deciso e spingeva forte: aveva sempre fretta e tutto gli sembrava risolvibile. Ho letto una lettera autografa molto gentile di De Gasperi di ringraziamento. Concludo che quella di cui ho parlato nel mio libro era un’altra Italia e che noi siamo stati beati a viverla: certo è così ma cosa manca ai giovani d’oggi per costruire un futuro migliore ? Forse la voglia, anzi la determinazione, di fare una scommessa su se stessi analoga a quella che facemmo noi, oltre mezzo secolo fa e senza gli strumenti di oggi».

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