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Intervista. Amos Gitai, quando Israele fa ciak

Notizia pubblicata il 04 giugno 2008



Categoria notizia : Spettacoli


«HO SCELTO di fare il regista e non vorrei parlare di politica!» Amos Gitai, israeliano, 58 anni, tra i registi più prolifici, premiati (ad agosto riceverà  il Pardo d'Oro al Festival di Locarno) e polemici del cinema israeliano, mette subito uno stop deciso a chi vorrebbe conoscere il suo prezioso punto di vista sulla situazione palestinese.

«Giudicate voi chi sono - dice -: sono nato due anni dopo la creazione dello stato d'Israele e ormai non vorrei vedere più le sofferenze, anche se mi rendo conto che ormai abbiamo intossicato la vostra immagine…per questo ho scelto di parlare attraverso il cinema, di mostrare gli eventi attraverso il cinema».

OGGI però, a Bologna (alle 21 al Museo Ebraico di via Valdonica 1) il suo riserbo sulla politica dovrà  giocoforza venir meno, visto che la conferenza sul tema Il cinema in Israele oggi, non pare poter prescindere da argomenti che investono la società  nel suo insieme. Non a caso quell'angolo di mondo é considerato il più grande laboratorio culturale del momento e dopo le fasi del melting pot, del pluralismo culturale, della multietnicità , pare approdato al tempo della sintesi, della fusione, in un contesto peraltro molto ricco di spunti e spirito d'iniziativa. Ogni anno in Israele vengono prodotti almeno una quindicina di film e da Cannes a Berlino i festival si stanno accorgendo di quest'attività  e dei suoi attori.

Lo stesso Gitai ha ricevuto ampi consensi a Venezia con un film come Dèsengagement che concede la possibilità  di relazionarsi con uno sguardo non banale su vicende di cui ancora il cinema mondiale sembra non curarsi più di tanto (tratta infatti dello sgombero dei coloni israeliani dalla Striscia di Gaza da parte del governo Sharon).

Possiamo definire il suo cinema come mediatore culturale? Qual é il ruolo?
«Cerco con il cinema di toccare alcuni nervi scoperti in qualche parte del mondo che pensiamo di conoscere tanto, ma forse non é così…il cinema come arte permette di superare la cortina dei media e trovare le contraddizioni…quello che desidero é mostrare gli eventi attraverso il cinema».

Le donne in tutti i paesi, non solo in Medio Oriente, hanno ancora problemi di parità  con l'uomo, lei pensa che il ruolo della donna in una società  sia anche il segno del livello di civiltà  raggiunto?

«Mi auguro che qualcosa cambi, me lo auguro per le donne. Se più donne potessero occupare posti di potere penso che certe situazioni potrebbero cambiare. L'Italia e Israele hanno situazioni simili: ci sono persone belle e intelligenti che tristemente convivono con persone arroganti, volgari e kitch…».

Una frase contenuta in uno dei libri sacri della Bibbia, l'Ecclesiaste, recita così: "C'é un tempo per la guerra e un tempo per la pace…". Arriverà  mai questo momento?
«Se arriva é già  in ritardo».

(foto di http://www.flickr.com/photos/petar_kurschner)