'Bologna rischia di morire'. Intervista con Cesare Cremonini
Notizia pubblicata il 11 dicembre 2008
Categoria notizia : Musica
STORIE DI TRAMONTI sulla città, di notti avventurose consumate tra i portici e i viali. In compagnia di amici occasionali che introducono ai ‘misteri’ della città, fanno da guida attraverso i sentieri più tenebrosi della metropoli. Che non è più soltanto l’ambientazione perfetta per le inquietudini della letteratura gialla, ma anche per le parabole romantiche, intimiste, freneticamente contagiose, di Cesare Cremonini.
Che le porterà sul palco, a Bologna, la sua città, domani (Paladozza, ore 21).
Cosa si prova alla vigilia del concerto più sentito della stagione?
«Non esagero, è il momento più importante della mia vita. Il PalaDozza é il posto dove ho condiviso emozioni, passioni, sin da quando ero piccolo e andavo nella ‘fossa’ a vedere le partite della Fortitudo. Anche allora, specie nei derby contro la Virtus, cantavo, ma per ragioni diverse... Era un sogno... Non c’è a Bologna uno spazio così ricco di fascino, essere sullo stesso palco dove ha suonato, per fare un nome, Guccini, è il punto di arrivo di un carriera. Ho acquistato in questi giorni un libro che racconta la costruzione del Palazzo e pensare che, 50 anni dopo, io sarò al centro della serata, è la gratificazione che aspettavo. Ed è arrivata con questo tour».
Un bel ritorno a casa. Come si è rinsaldato il suo rapporto con Bologna?
«Ho scelto per qualche anno di non suonare più in città. Dal 2001 al 2004, quando mi sono esibito in teatro con un’orchestra. Perché il legame con la città, dopo il successo dei Lunapop, era diventato difficile. E ho lavorato duramente per ricostruirlo, per appassionare nuovamente Bologna alle mie canzoni. Mi sono sempre sentito un bolognese doc che andava in giro per il mondo per esaltare, con le sue musiche, le doti della città che gli ha dato i natali. E il tutto esaurito al PalaDozza è per me, il segno di una nuova vita, che ricomincia da questa terra. Dove ho scelto di abitare, perché qui sono le mie radici, specie per chi come me, ha un’esistenza al vento, e ha bisogno di un albero al quale stringersi. Per questo sono orgoglioso, anche da ultimo arrivato, di far parte della scuola dei cantautori bolognesi».
Che Bologna è quella di oggi? Ha citato Guccini, ma le osterie di via del Pratello vengono chiuse con ordinanza comunale...
«Bologna oggi non ha certo bisogno di queste restrizioni, perchè si sente molto la mancanza della possibilità per i giovani, e non solo per loro, di incontrarsi. Quando penso alle polemiche sulle piazze stracolme di ragazzi che ‘disturbano’, semplicemente occupando uno spazio pubblico, ho la sensazione di una colossale presa in giro. Perché il problema vero è l’assoluta mancanza di opportunità, il Comune ha negato qualsiasi occasione di aggregazione, che permetterebbe ai ragazzi di vivere come meglio credono senza disturbare gli altri. C’è molta ipocrisia. Il divieto di bere un biccchiere di vino fuori da un locale ha fatto scomparire la vita sociale. Chi sarà incaricato in futuro di governare dovrà capire quanto è urgente l’individuazione e la creazione di spazi nuovi per i ragazzi e per gli adulti. Il vero problema è questo. Ed è così che Bologna, e la sua celebrata creatività, muoiono. L’arte, la cultura è quello che ci invidiano in Italia. Ma ormai sembrano appartenere a un’altra epoca».
‘Le Sei e Ventisei’, è una delle canzoni più belle e intense del disco ed è un omaggio a Bologna...
«Sì, è una canzone che ho scritto in casa proprio a quell’ora. L’alba per me è un momento di pace, quando posso stare con me stesso. Mio padre dice che quello che manca a questi anni è la voglia, il sacrificio necessario per andare in profondità nei sentimenti, Il protagonista esce per le vie di Bologna per scoprire, finalmente, la vita, con tutte le sue contraddizioni, la religiosità e le prostitute, l’Accademia e la Chiesa. Questa è Bologna, un luogo dove gli opposti, felicemente, convivono».
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