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Dalla cronaca il brivido di un giallo. Carlo Mazzacurati parla del film in cui anche il nostro giornale é protagonista

Notizia pubblicata il 27 dicembre 2007



Categoria notizia : Cultura


«MI INTERESSAVA raccontare un giornalismo di provincia, diverso da quello nazionale dove purtroppo il rapporto con i luoghi si é un po' perso. Invece nelle piccole realtà  si é costretti ancora a setacciare il fatto, il piccolo accadimento in modo completo e organico».

Il regista Carlo Mazzacurati nel suo ultimo film «La giusta distanza», ambientato in Polesine, nel delta del Po, ha scelto come protagonista della sua storia un giovane corrispondente de "il Resto del Carlino". Un pretesto per parlare della società  che ci circonda. «Prima di cominciare a scrivere il soggetto avevo come base di partenza un libro del russo Sergej Dovlatov, "Compromesso". Volevo mettere a fuoco il personaggio di un ragazzo che lavora per un quotidiano in provincia. Ho fatto una quarantina di interviste da Rovigo a Trieste, per comprendere meglio questo tipo di mondo».

Ma nel film viene disegnata anche la figura di un altro giornalista interpretato da Fabrizio Bentivoglio, più anziano ed esperto... «E' uno che sa fare il suo mestiere, ma anche un un po' trombone e a tratti ingenuo. Un tipo che sta bene nel suo nido urbano, molto confortevole. Una specie di autorità  riconosciuta nella piccola cittadina. Uno che si sente un grande scrittore, ha l'aria dell'intellettuale, ma é un po' troppo formale».

Un personaggio molto diverso dal ragazzo...«Il giovane ha il desiderio di diventare qualcuno e la purezza che gli permette di andare fino in fondo alle cose. Ha il coraggio di non essere accomodante. Pur sapendo che così cambierà  il rapporto tra lui e il mondo che gli sta attorno».

Fiducia nei giovani dunque e invece una visione più negativa degli adulti, come il cinico avvocato interpretato da Ivano Marescotti... «Ogni mestiere può essere grigio e superficiale, ma se ti ci butti in un certo modo c'é ancora spazio per farlo con passione. Del resto l'aria che si respira é quella di un'indifferenza diffusa, una specie di deriva lenta e pigra che riguarda un po' tutti. C'é una corrente elettrica a bassa intensità  e questo lo percepisci. Ma quel che mi sembra più doloroso nel film é la non assunzione di responsabilità  del personaggio che uccide poi la giovane maestra. Una scelta che condanna un innocente».

Il film racconta infatti un piccolo giallo di provincia... «Ho voluto lavorare su un fatto di cronaca che può appartenere a tutti. Piuttosto che sul cosiddetto «mostro» che tu metti da una parte, lontano da te».

L'ambientazione nel delta del Po é volutamente spersonalizzata? «Ma certo! Quando racconti una storia, tu usi uno scenario che riempi di idee, di appunti che hanno una circolarità  non sempre ascrivibile a quel posto. Lo vediamo anche nella letteratura. Ad esempio Faulkner ha ambientato i suoi racconti in due anse del Mississippi, ma non é che parlava di quelle quattro cose lì, bensì di quanto riusciva a infilarci dentro di immaginazione, riflessione, oscuri presagi. Non voglio essere etichettato come esperto del Nordest. Un film é immaginazione, é emozione».

Parlando di giornali, quale é il suo rapporto con la critica? «Non molto costruttivo. La critica nei quotidiani purtroppo ha uno spazio sempre meno vitale. Per fortuna però per noi registi conta di più un po' di pioggia, piuttosto che una stroncatura».

Un'ultima curiosità , come mai il Carlino? «Mio bisnonno viveva a San Venanzio di Galliera, ai confini fra le province di Bologna e Ferrara. Per me il Carlino rappresenta da sempre l'idea del giornale tradizionale, di una presenza costante nel salotto di casa».  
(photo by Sylvain Gamel)