Kieslowski, le emozioni oltre la cortina di ferro. Pellegrinaggio di badanti per la Polonia del regista
Notizia pubblicata il 27 dicembre 2007
Categoria notizia : Cultura
SE LA POESIA esiste, fino al 9 gennaio la sua casa é in una chiesetta tascabile, nel cuore di Meldola. Ma non é una poesia facile, che ti conquista subito. Non é neppure semplice da afferrare. Servono tempo, e soprattutto sensibilità per metterla a fuoco. Ma quando mai il cinema di Krzysztof Kieslowski é stato lampante? Lui conduceva lo spettatore ai titoli di coda scegliendo regolarmente il viottolo in salita.
E LA MOSTRA della chiesa di San Cosimo a Meldola, dedicata al grande regista polacco scomparso troppo, troppo presto, nel 1996 a 55 anni, é una piccola luce: esplora ansie, tormenti e certezze di questo figlio della Polonia. Non aspettatevi un'esposizione imperiale. Non lo é, ed é giusto così, non avrebbe rispettato il carattere del protagonista. Niente video, solo pannelli dai quali ci si può avidamente abbeverare, perchè di Kieslowski si sa poco, sotterrato com'é stato a lungo in una Polonia rabbuiata dal regime di Jaruzelski.
Ma la Polonia, quella Polonia, é sempre stata presente nel cuore e nell'arte del regista: forse é per questo motivo che un insolito tam tam richiama a San Cosimo le badanti stanzianti, con passaporto del paese di Papa Wojtyla. Il loro é un semplice pellegrinaggio. Vengono qua, forse per leggere solo qualche scritta nell'amata lingua polacca, forse per ritrovare una traccia del cinema della loro gioventù. Creato da lui. E lui, nei primi pannelli, totalmente biografici, si presenta con l'espressione un po' imbranata: due orecchie a sventola da cartoni animati, mani che non si sa dove mettere, e quegli occhiali sovietici, ma anche alla Clark Kent, ai quali non rinuncerà nemmeno sugli sfavillanti palchi delle premiazioni del festival di Cannes.
In quelle immagini bigie, neanche in biancoenero, c'é la storia di un ragazzo troppo presto orfano di padre. Con un sogno: diventare regista, ma la scuola del cinema lo respinge. Per tre volte. Ci sono le foto sempliciotte del suo matrimonio, immagini con la moglie scattate in qualche baracchino, e istantanee con la figlia Martha, foto con il suo cane.
CORIANDOLI che spiegano chi era Kieslowski, anticamera fondamentale per capire il suo cinema. E così nei pannelli successivi, il filo che dalla vita porta alla cinepresa conduce ai documentari dove il proletariato é lo sfondo perenne per le sue prime riflessioni. E i titoli dicono già tutto: 'Punto di vista di un guardiano notturno', 'Il sottopassaggio', 'Il tram', 'L'ufficio', 'Il concerto dei desideri', 'Il testamento', 'La stazione', 'L'ospedale', 'Il muratore'. Poi si passa al cinema: sfilano i Decaloghi, dieci episodi legati ai comandamenti, quando l'Occidente cominciò a dirsi che sì, quel polacco magrolino che fumava una sigaretta dietro l'altra sapeva dar corpo ai suoi sogni.
IL RESTO é quasi storia di oggi. Chiunque conosce la trilogia dei colori: 'Film rosso', 'Film blu', 'Film bianco', talmente belli da impedirne di eleggerne uno come preferito. La mostra alza i veli su qualche lato meno noto. Poi si vede Kieslowski guidare la meravigliosa Irene Jacob ne 'La doppia vita di Veronica', il film per cui voleva Nanni Moretti e Andie McDowell, coppia che, per fortuna, rimase invece a casa propria. Siamo alla fine, ma l'esposizione si conclude com'era iniziata: con la Polonia. 45 foto sue, del 1965, di quand'era studente della facoltà di regia dell'accademia teatrale di Lodz. Al centro c'é l'uomo, come nel suo cinema. Due visitatrici fissano quei visi. Come vorrebbero riconoscere qualcuno! Poi si asciugano una lacrima e firmano il registro della mostra: frasi in polacco, e una sola parola in italiano. Grazie. Sì, grazie Kieslowski.Â