Le offerte più convenienti
Prenota gratis
Nessuna commissione

Intervista a Gianni Borgna

Notizia pubblicata il 02 settembre 2007



Categoria notizia : Fatti Curiosi


«Quegli indimenticabili, fantastici, creativi anni '60». Il musicologo, stasera a Bologna per un dibattito, ripercorre storia e protagonisti della canzone italiana GINO PAOLI ha ancora una pallottola conficcata a pochi centimetri dal cuore. Ma lui del suo tentato suicidio può ancora lucidamente ricostruire dinamica e particolari.

IL PERSONAGGIO GIANNI BORGNA
 «Un'ora dopo non mi sarei più sparato», ha confidato all'amico Gianni Borgna che proprio su un collega eccellente sarà chiamato oggi a dibattere alla Casa dei Pensieri della Festa nazionale dell'Unità (Sala Verde del Parco Nord di Bologna, ore 21). Il titolo chiarisce di chi si tratta: «1967-2007-2047. Luigi Tenco, il mondo di oggi, il futuro, la musica e la libertà».

Con l'ex assessore alla cultura del Comune di Roma nonché critico musicale dai molti allori, Enrico De Angelis, direttore artistico del Club Tenco, la discografica Mimma Gaspari Golino, le interpretazioni a piano e voce di Franz Campi, Igor Macchia accompagnato dalla fisarmonica di Alfeo Pacher e la recitazione di Lupo Angel supportato dalla chitarra di Stefano Giacovelli.

Il caso Tenco ha continuato per anni a essere un giallo. Lei che idea si è fatto della vicenda?
«Penso che le cose siano andate come hanno detto fin dal primo momento - risponde Borgna, oggi presidente dell'Auditorium della capitale - anche per ragioni che esulano dalla delusione per l'eliminazione della sua canzone. Uccidersi è sempre un gesto intimo,
personale e irrazionale. Forse anche per lui vale quello che mi ha sempre detto Paoli:
bastava un'ora per ripigliarsi dalla depressione e oggi non saremmo qui a parlare di una
tragediae».

Ma la sua precoce dipartita ne ha ingigantito il profilo d'autore o lui è comunque un grande a prescindere dal mito che l'ha avvolto post mortem?
«Tenco era un grande e temo che la sua breve vita ci abbia privato del meglio che ancora doveva dare. La sua stagione, tutto sommato, era in fieri: la canzone politica, l'impegno sociale sono esplosi col '68 e lui avrebbe sicuramente potuto scrivere cose interessanti».

In questi quarant'anni che cosa è profondamente cambiato nella musica?
«Ogni epoca ha il suo modo di esprimersi ma credo che quella sia stata quella che ha innovato di più. E' un po' amaro dirlo ma gli anni '60 sono stati effettivamente fantastici e, dopo, tutti si sono rifatti a quel decennio. De Andrè, Dylan, Dalla, Paoli, Tenco, Gaber hanno prodotto fermenti di un'intensità che non si è mai più ripetuta. Anche per questo Tenco è vivo, tra noi, non rappresenta per nulla un revival».

La proiezione al 2047 che immagini le suggerisce?
«Penso che il futuro sia nelle forme di fusione, di contaminazione, di incontri tra suoni diversi, di altri paesi. E in questo senso ci sono artisti interessanti, però nessuno oscurerà lo spirito d'assoluta avanguardia dei nomi citati che continuano a dirci molto tuttora e in futuro. In pratica non è come ascoltare il Trio Lescano che è perfetto come reperto filologico degli anni '40 ma ha l'animo che si ferma in quel momento storico».
Il binomio musica e libertà resta sempre valido?
«Non necessariamente. Però ci sono state e ci sono musiche utilizzate a fini liberatori come del resto dovrebbe accadere a tutte le forme d'arte. Oggi vedo protesi verso questo obiettivo di liberazione da certe costrizioni personaggi come Cristicchi, Jovanotti, Vasco».
Il Borgna politico vede la musica sufficientemente tutelata a livello legislativo?
«Decisamente no. Ormai la discografia nazionale si è persa ma da noi nessuno si è preoccupato di fare come in Francia dove si sono contingentate in radio e tv le trasmissioni di brani non autoctoni. Qui dilaga il sound anglosassone anche per mancanza, come detto, di case musicali italiane. Il caso Ricordi che lanciò la Scuola di Genova rischiando su contenuti musicali e testuali inusitati resta oggi un esempio di coraggio dadato e non più ripercorribile. Ciò peraltro in contrasto con i gusti del pubblico che dimostra di essere meno uniformato all'offerta del mercato prediligendo anche musica
etnica o popolare, come dimostrano le nostre serate all'Auditorium. Sparagna ha avuto 3000 spettatori. Più di Joe Cocker».