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Sotto il burka una risata amara

Notizia pubblicata il 07 settembre 2007



Categoria notizia : Cultura


QUANDO la realtà supera la fantasia. A Kabul succede regolarmente che un marito rinunci a uscire con la moglie per non correre il rischio di perderla tra la folla senza riuscire più a individuarla.

«Ed è pure imbarazzante per la loro cultura fermare per strada una donna velata e chiedere se per caso sia la consorte».

Simona Bassano di Tufillo, pseudonimo Sbadituf («Acronimo - spiega - di un nome troppo lungo, che così suona invece già da fumetto»), non credeva alle sue orecchie quando Jamila Mujahed le raccontò queste esilaranti scenette di vita quotidiana afghana, perché lei le aveva già immaginate e disegnate almeno due anni prima del loro incontro nel 2006, producendo una dozzina di tavole di umorismo sottile e sferzante su uno dei temi più sensibili della cultura islamica, la copertura integrale del volto delle donne.

Simona Bassano di Tifullo

Da allora quell'intuizione apparsale fulminea all'indomani del crollo delle Torri Gemelle, è diventata prima una mostra, poi un libro edito da Donzelli e ora di nuovo una mostra più ampia e itinerante che approda a Bologna lunedì prossimo per restare alle pareti della Libreria Feltrinelli di piazza Ravegnana 1 (Tel. 051-266891) fino al 7 ottobre. "Burka!", mai titolo fu più esemplificativo, espone venti disegni della fumettista napoletana che irride bellamente alla "moda" musulmana di stretta osservanza senza però temere per questo ritorsioni o fatwe.

Come le è venuto in mente di ironizzare su un tema così sensibile?
«Tutto è successo quando si sono cominciate a vedere in tv le immagini di queste donne oscurate e io mi sono immedesimata in loro immaginando come avrei potuto fare la spesa o le altre cose quotidiane. Uno scenario comico ma anche comodo perché così non importa truccarsi, sistemarsi, poi nessuno ti riconosce. Al pericolo eventuale non pensavo proprio. Mi è venuto in mente il contraccolpo mediatico quando è sbucato il progetto della pubblicazione ma poi mi sono accorta che quando si parla di donne anche l'Islam se ne disinteressa».

Si tratta comunque di un atteggiamento irriverente verso una loro tradizione radicata...
«Sì, però c'è ironia ma nessun tipo di offesa. Alla fine sono situazioni che sfiorano l'assurdo ma più per chi guarda che per chi ne è protagonista, per cui sono difficilmente attaccabile. Jamila mi ha rassicurato molto quando le ha viste trovandole anche lei divertenti e molto aderenti alla realtà».

Quale Kabul emerge dai suoi disegni e dai testi della coautrice afghana?
«Nel suo racconto affronta anche storicamente il passaggio dal regime dei Mujaheddin a quello dei Talebani rammaricandosi che un cambio all'apparenza vantaggioso si stia invece rivelando un fallimento che ha gettato il paese nell'anarchia».
E' convinta che per le donne occidentali quest'usanza sia incompresibile e lontana dal loro quotidiano?
« Assolutamente no, anche noi abbiamo il nostro burka che sono i tacchi alti e le minigonne, una sorta di prigione sociale che ti incatena, anche se in maniera sottintesa, al ruolo di pupazza».

Come sono stati l'incontro e la collaborazione tra una napoletana e un'afghana?
«Ottimo, come se fosse una conterranea. Temevo di non porgermi nel modo giusto e invece c'è stata grande facilità di comunicazione. Piuttosto ho notato differenze nella scrittura. Il figlio ha tradotto in inglese e io in italiano trovando però estrema difficoltà nel semplificare un elaborato troppo particolareggiato, quasi da tedesca d'Asia».

Dopo il burka a che cosa si applicherà?
«Ancora in qualche modo a un argomento pseudo-religioso come la creazione del mondo dove prendo di mira il sistema biblico cristiano. In verità per le vignette musulmane l'ispirazione non è stata confessionale ma, come detto, l'apparizione visivamente molto impattante di queste figurine velate. Nel caso invece di "Paradiso fittasi" l'influenza di Chiesa e catechismo sono stati forti come i sensi di colpa che il cattolicesimo ci ha inculcato. Sono strisce dunque molto alimentate dal mio vissuto che spero possano anch'esse finire in un libro o, in alternativa, comparire a puntate. Ma prima di fine anno non se ne parla».