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Quel piccolo grande genio del sassofono

Notizia pubblicata il 12 febbraio 2009



Categoria notizia : Musica


POSANDO la mano sulla Bibbia sorretta dalla moglie Michelle, Obama promette di fare del proprio meglio per «preservare, proteggere e difendere la Costituzione degli Stati Uniti». All’Eisenhower Theatre poco prima i musicisti di Marsalis hanno proposto gli standard più attesi. Con loro c’è anche un italiano, Francesco Cafiso , 19 anni, di Vittoria, che apre con Perdido di Duke.

L’appuntamento con il contraltista alla guida di un quartetto di grandi doti interpretative è per stasera alle 22 nella Sala musica di San Lazzaro (via Bellaria 7) per la rassegna Paradiso Jazz: gli altri sono Dino Rubino (piano), Riccardo Fioravanti (contrabbasso) e Stefano Bagnoli (batteria).

Questa chiamata nel paradiso dei jazzanti il piccolo genio del sassofono contralto se l’è costruita un po’ per volta. Con quell’arte di “flautare” l’ancia, con venature fortemente bebop e meanstream e brani scritti a volte con umoralità ampie e profonde. Con la tensione creativa degli assoli improvvisati, dalla vena melodica alternata a suoni cupi e spigolosi.

Tutto ebbe inizio con quel Pescara Jazz Festival 2002 in cui sedusse Marsalis.

«E’ accaduto come in sogno: Wynton mi venne vicino e a bassa voce mi sussurrò che per qualche istante gli avevo ricordato Charlie Parker. Le gambe mi tremavano, ma non lui non se ne accorse».

Fu allora che Downbeat inserì i suoi duetti con D’Andrea nella lista dei venticinque eventi più significativi di tutti i tempi. Assieme alle performance di Hancock, Shorter, Davis ed Ellington.
«Un choc terribile, qualcuno può pensare, per un ragazzino di tredici anni che si vede accostato ai grandi che aveva cominciato ad adorare fin da quando ne aveva nove. Ma non è stato così. Mio padre mi ha aiutato a capire che avevo ancora tutto da dimostrare. E io gli ho creduto, senza difficoltà»

Lei, unico musicista italiano nei festeggiamenti di Obama: non le è sembrata quasi una missione?

«Diciamo che per me è stata una vetrina scintillante, dove forse i frutti del lavoro si sono rivelati proporzionali all’impegno che ci metto da quando avevo nove anni».
Sì, ma con le emozioni non si scherza: come si sentiva?
«Beh, pensando che il festeggiato era nientemeno che il neo presidente degli Stati Uniti proprio tranquillo all’inizio non ero. Ma il fatto di essermi ritrovato con i musicisti della band di Wynton ha finito per tranquillizzarmi: la gioia che si tagliava a fette».
Parliamo del “suo love supreme”: il sassofono contralto. Perché ha cominciato col jazz?
«Per aver conosciuto a nove anni un maestro come Franco D’Andrea grazie al quale ho scoperto il potere straordinario dell’improvvisazione».
Dei jazzisti italiani chi le piace?

«Conosco un po’ tutti. Potrei citarle Moroni, Bosso, Petrella. Artisti straordinari che rendono la musica bella e infinita».
Il jazz italiano è forse il primo al mondo quanto a progetti. E’ d’accordo?
«Primi o secondi, poco importa. Rispetto agli americani abbiamo culture profondamente diverse, ma il nostro movimento è veramente al top. In America lo riconoscono».

Viriamo sui progetti.
«Uno ce l’ho: Francesco Cafiso Hurricane Jazz Ensemble, composizioni originali e brani arrangiati che inciderò per la Cam».
E’ fra quelli che sognano il concerto perfetto?
«Chi non lo sognerebbe? Ma non mi sono mai detto: stavolta hai suonato davvero bene. Non è ancora capitato».

foto by http://www.flickr.com/photos/marlenek/