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Sinfonia di galli in piazza o Arto il biblico: a Santarcangelo

Notizia pubblicata il 14 luglio 2009



Categoria notizia : Eventi


AMICHEVOLMENTE invasivo. Festoso e animato nelle strade, nelle piazzette e nei giardini del paese; ma anche appartato e assorto nei momenti di ricerca: così il festival, dopo qualche anno di torpore, si è riappropriato di Santarcangelo (e viceversa). Il nuovo progetto triennale prevedeva per questa trentanovesima edizione appena conclusa la direzione di Chiara Guidi della Raffaello Sanzio, che ha impostato un vasto programma basato sul teatro dell’ascolto, sull’equazione vedere-sentire.

Festival Un successo la trentanovesima edizione della manifestazione dedicata quest’anno al «teatro dell’ascolto»

Tutti gli artisti presenti, dai nomi illustri della ricerca ai meno conosciuti che scavano sottotraccia, musicisti e teatranti, si sono dunque messi a lavorare su questa scia, sulla suggestione di una possibile drammaturgia musicale fatta d’immagini così visionarie da divenire suono. Questo scavo sonoro diffuso, unito all’occupazione del paese da parte di 210 gruppi con azioni di strada praticamente continue, ha finito per risvegliare di nuovo Santarcangelo.
FOSSERO i tacchi metallici di Lawrence Abu Hamdan che risuonavano per le vie ciottolate, il ticchettio delle zampe della marcia di animali domestici in parata, o la voce fonda e antica di Arnoldo Foà che per l’aria si faceva radiodramma da sola; o fosse il concerto di galli, che domenica mattina all’alba ha incredibilmene raccolto in piazza una piccola folla con il canto all’unisono diretto dalla Guidi , il festival-sinfonia ha finito per irradiarsi e per tirarsi dietro Santarcangelo come fosse Hamelin. Profani compresi: lo si è visto nell’epica nottata conclusiva, quando la poderosa installazione del brasiliano-newyorkese Arto Lindsay ha invaso e contaminato la piazza del paese con sonorità bibliche che si rovesciavano sulla folla da torri metalliche di cinque metri. Percussioni e casse da assordamento, fari accecanti e fumi di piadina mescolati: niente male.
Mentre gli abitanti del luogo non erano scocciati per niente, anzi stavano lì in una ressa immane, e parevano gradire per giunta.
INTANTO, la macchina del festival sfornava regolarmente sorprese e scoperte in stanze appartate, arene, cortili, angoli vivi. Come il lavoro sempre evocativo e sottile di Fanny & Alexander, che con il consueto acume indaga la teatralità consistente di una sorgente sonora usando il sopra-sotto di due stanze: in una facendoci ascoltare dal basso l’anima e il respiro dei suoi rumori che sono ognuno un enigma e una storia; nell’altra orecchiando i mantici delle tavole del pavimento pestate da Chiara Lagani con metodo e fisica scienza. O come nella performance misteriosa di Masque, «La macchina di Kafka», che tra il corporale e il mediatico trasforma una celletta in scatola sonora con pianoforte Disklavier a suonare da solo, e marchingegni azionati dai movimenti, dalle vibrazioni del pubblico