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Ferraresi Bicicletta: e così la vita non ha più salite

Notizia pubblicata il 15 dicembre 2009



Categoria notizia : Fatti Curiosi


Per vedere un ferrarese pedalare in salita bisogna mettersi all'angolo tra via Spronello e via Baluardi dove, incisa su una pietra di marmo pentagonale, campeggia nei secoli un numero che dice tutto: 11 metri e 80 centimetri sul livello del mare. È il punto più alto del centro storico. E c'è chi giura di aver visto più di una signora scendere dalla bicicletta, intimorita da quel gran premio della montagna.

«Viva la biga» hanno scritto in gesso su un vecchio muro vicino a corso di Porta Reno. E non è il refuso di un goliardico sporcaccione. In dialetto ferrarese la biga è la bicicletta. Che qui è molto più di un mezzo di trasporto: uno stile di vita, un moto dell'anima, un modo di esserci. Lo scrittore Flavio Bertelli, nel suo «Mi, la guera e la bicicleta», raccontò con fare serioso dell'ambiguo rapporto tra i maschi ferraresi e la biga: «Fra mostrarla, sfregarla, lucidarla, trovarne dei nomignoli e farle dei complimenti, è un'impresa che dà a tutti una specie di malattia. E le donne si ingelosiscono... Sentono questi deficienti che chiamano la bicicletta con nomignoli tutti fiorati: la spicciola, la biga, la generosa, la cicla...».

Una famiglia senza bicicletta qui rischia di finire sul giornale: fa notizia. Ogni ferrarese, stando ai dati comunali, possiede 2,8 bighe. Roba da far invidia agli abitanti di Copenhagen, che quanto a due ruote vincono il Pallone d'oro. «Io ne ho una per andare in centro, una per girare le mura e l'altra da corsa», dice Gian Pietro Testa, scrittore ed ex inviato di Giorno e Paese Sera, che racconta con divertita perfidia la scenetta «dell'azdora, piccola e pasciutella, che quando deve fermarsi non usa i freni e nemmeno i piedi: fa un balzello in avanti con il sedere e puntualmente infila le gambe del povero pedone». L'hanno messo perfino nei cartelli segnaletici: «Ferrara città delle biciclette». L'anno scorso hanno disseminato il centro di convegni, eventi, mostre. Hanno un centinaio di chilometri di piste ciclabili. E nel 2010 passerà il Giro d'Italia. Anni addietro, ci fu un'intera giunta, sindaco più assessori, che, vuoi per piaggeria elettorale o per genuina convinzione, sostituì le auto blu con le biciclette blu. I ferraresi apprezzarono il gesto, anche troppo. Tempo qualche mese e delle nove Viner blu non rimase che il ricordo: tutte rubate.

«Viva la biga», e attenti ai refusi. Come dice Testa, «la bici viene vissuta come uno strumento di licenza con il quale si può fare tutto». «Per il ferrarese - ha scritto l'ex sindaco Gaetano Sateriale - è un'estensione del proprio corpo con cui disinvoltamente sale sui marciapiedi, percorre con naturalezza le strade contromano ed entrerebbe, se riuscisse, anche nei negozi a fare la spesa». Guai non guardarsi le spalle quando giri per il centro. «La prima volta che i ferraresi videro i velocipedi - scrive Giorgio Mantovani - fu nel giugno 1870 quando sul pubblico passeggio del Montagnone dodici modenesi, vestiti come fantini, si sfidarono su bicicli di legno con le ruote cerchiate di ferro». La caccia al pedone iniziò praticamente allora con furiose reprimende da parte delle locali autorità contro «i signori velocipedisti». E i primi caduti: come il conte Orazio Avogli, che «non avendo udito il segnale del campanello, fu travolto».

Dei due bicycle manager che ci sono in Italia, uno non poteva essere che a Ferrara: Gianni Stefanati è un esperto delle politiche della mobilità ciclabile, è stato responsabile del primo Ufficio bici creato da un Comune. Della fenomenologia del «bighellonatore», figura cardine della fauna ciclistica ferrarese, sa tutto: «Bighellonare è il classico incedere in biga senza meta - ha scritto in "Ferrara sotto il segno della bicicletta" -. L'andatura è lenta, ma molto lenta: è sempre presente il rischio di essere investiti da un maratoneta. Il trucco per mantenerla è dare un'energica pedalata ogni 50 metri...». Il semaforo, per il bighellonatore, è un optional. O meglio, come racconta Stefanati, vi è «l'inossidabile convinzione, trasmessa di generazione in generazione, che sia stato inventato esclusivamente per le auto...».

Lontani i tempi, come racconta l'ex presidente degli Amici della Bici, Valerio Vicentini, in cui le due ruote erano roba da ricchi: «Negli anni '30 ce n'erano anche da 1.300 lire, un'enormità. Poi hanno cominciato a produrre modelli economici ed è stato un boom». Ancora oggi il parco bici di Ferrara è come un viaggio nel tempo. Incontri di tutto. L'intramontabile Graziella, che si ripiega su se stessa. «La "bigona" che si usava in campagna - aggiunge Stefanati - l'olandese vinta alla festa di partito o la mountain bike presa con i bollini del supermercato». I professionisti prediligono la classica Bianchi. Poi ci sono le «carcassone», fatte con materiale di recupero, monopolio di studenti e operai: «Quelle - ride Stefanati - non hanno bisogno del campanello: si fanno annunciare da un immancabile e ritmico cigolio». Ogni bici racconta spezzoni di vita: tra ganci, molle e cestini, la fantasia del ferrarese per gli accessori non ha limiti. C'è perfino chi ha inventato la bici nuziale, con tanto di decorazioni. E chi ci aggancia dietro il carrello del supermercato. Il meccanico qui è come il medico: temuto e riverito. Ce ne sono una ventina, botteghe a prova di crisi. In via Fabbri, in un enorme scantinato sotto il livello della strada, lavorava Paolino, che con il pennello restaurava bici d'epoca: «Non voleva essere guardato mentre lavorava, ma che mano aveva...». Due anni fa è morto. E con lui, anche un mestiere.

Foto by http://www.flickr.com/photos/roberto_ferrari/