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Il grande italianista venerdì compie 85 anni

Notizia pubblicata il 17 marzo 2009



Categoria notizia : Cultura


«SA CHE COSA diceva il filosofo tedesco Walter Benjamin? Che l’altra faccia della cultura è la barbarie.

Mi sembra che stia succedendo un po’ così, come affermavia già anche Aristotele nel IV secolo prima di Cristo, nella sua Retorica. Viviamo di parole d’ordine, di affermazioni non verificate, messe in giro e poi cancellate, suggestive, che, in assenza di un’opinione pubblica ben fondata disarmano l’analisi critica. Il nostro è un tempo corto, privo di durata, di parole sotto voce, pronto solo a gridare».

Ezio Raimondi, l’italianista maestro, per un quarantennio, all’università di Bologna, e oggi presidente dell’Istituto Beni Culturali dell’Emilia Romagna, si avvicina così, «non con nostalgia ma con il rimpianto per tutto ciò che non riuscirò a sapere», agli 85 anni che compirà venerdì e alla cittadinanza onoraria di Cesena, che gli verrà consegnata nella sala consiliare del municipio alle 17.15 di giovedì.

«Cesena — ricorda il professore — è la città di Renato Serra, il critico morto appena trentunenne sul fronte della Grande Guerra, a cui ho dedicato tanti dei miei studi. Che cosa vi è di significativo in lui, ancora oggi? Quella semplicità che fa a meno dell’ostentazione e del rumore, come in un romagnolo poco romagnolo. Mi viene in mente la strade della mia infanzia, povera, popolare, via del Borgo, e la paragono a Cesena. Un ambiente domestico, silenzioso, operoso, Serra era provinciale ed europeo, partiva dal piccolo per giungere a toccare ciò che è grande».

MENTRE cerchi di seguire lo spaziare continuo, i cerchi sempre più ampi e intrecciati del discorso di Raimondi — l’interprete straordinariamente acuto di Manzoni, di Tasso, di Dante, dell’umanesimo bolognese, di Alfieri, del barocco — e più ti accorgi di quanto, in lui, letteratura ed etica siano inscindibili. Raimondi cita Heidegger o Curtius, ma dall’altra parte dello specchio affiora la realtà di oggi.

Per lui, la pagina scritta dice cose, non volatili parole.

«Ho riletto di recente un volume di Carlos Fuentes — confida —, una specie di libro di memorie, In questo io credo. E’ già di alcuni anni fa, ma vi si parla di banche che falliscono e di banchieri fraudolenti. La cultura è il modo di comportarsi al di fuori dell’economia, è lei che porta ordine in mezzo al disordine. Il globale, per non creare guai, ha bisogno del locale».

Ma quella che Raimondi tesse, tra passato e futuro, è anche la rete dei rapporti umani. «Lo ripeto, la nostalgia non conta, conta la fedeltà a ciò che ci ha fatto crescere, come se restituissimo la vita a quanti ci hanno insegnato a rapportarci con gli altri». La famiglia. Via del Borgo. Il Raimondi studente lavoratore, che insegna alle elementari, alle scuole dei reduci e alle superiori, e poi al Collegio Irnerio, «che ho diretto, e ne sono usciti professori e alti funzionari».

Aggiunge lo studioso: «La scuola funziona solo se è una comunità, se fonda dei rapporti basati anche sui contrasti di idee. Il Dams, a Bologna, nacque con questo intento, poi i giochi di potere hanno prevalso. Ma il legame tra università e città è carente, la produzione delle idee deve tradursi sul territorio. E poi, come si stabiliscono i rapporti in una città di anziani dove un quarto degli abitanti sono giovani. Ciò che mi stupisce profondamente», prosegue Raimondi, « è che in tutti questi anni i professori non sono stati capaci di riformare l’istituzione in cui lavorano. L’università è un luogo dove si realizzano riforme che valgono per l’intera città».

Scenario grigio, statico. Ma per il formatore di tanti docenti, il colloquio con i giovani resta la base.

«Quando, in qualche scuola, parlo i ragazzi, spiego che siamo di due generazioni diverse, io ho la mia esperienza, loro la vitalità tipica dei giovani. Cerco di farli sentire protagonisti, di spingerli ad avere dei fini, a convincersi che ci sono dei radar interni che ci orientano e che può esistere qualcosa per cui entusiasmarsi, senza darsi subito alla delusione». C’è un civismo senza schiamazzi in tutto questo. L’etica del buon maestro. Della buona responsbailità. «Una frase di Wittgenstein dice: facci essere umani»: Raimondi la pronuncia come se parlasse di sè.

foto by http://www.flickr.com/photos/eraritjaritjaka/