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Bignardi tra autobiografia e storie di provincia. Martedì la nota giornalista presenterà il suo nuovo libro alla Fondazione

Notizia pubblicata il 11 ottobre 2009



Categoria notizia : Cultura


C'è un filo sottile che lega la Ferrara tratteggiata da Daria Bignardi nel suo Non vi lascerò orfani (Mondadori), a Piacenza, dove la scrittrice presenterà il suo libro martedì alle 21, all'auditorium della Fondazione (coordina il dibattito Caterina Caravaggi) con la collaborazione della libreria Farhenheit 451. Tra autobiografia e romanzo, si tratta di un ritratto «di un'intera Italia di provincia fra i Sessanta e i Settanta, ancora in cerca di un'identità o, forse, fin troppo consapevole di se stessa».

«Ferrara - prosegue l'autrice - ma così penso anche di Piacenza, non può che trasmettere, a molti, suggestione e fascino. La mia era una città piccolo-borghese che ha mantenuto certe tradizioni, anche se, da queste parti, molte cose sono cambiate, come nel resto del Paese».
Piacenza e Ferrara, dunque. L'una al confine tra Emilia e Lombardia, l'altra sospesa tra il carattere emiliano e quello romagnolo, tra la vocazione materna del territorio che è simbolo di radici e protezione, e l'atmosfera ovattata degli ambienti circoscritti. A guidarci tra affinità e parallelismi, tuttavia, è innanzitutto l'approccio confidenziale, quasi da amica, della giornalista che il grande pubblico ha imparato a conoscere come conduttrice de Le invasioni barbariche su La7 e, oggi, su Raidue con L'era glaciale.
Non vi lascerò orfani è il ritratto, intenso e lieve al tempo stesso, di una famiglia il cui perno è la madre di Daria, Giannarosa, detta "La Generosa": «Lei è la figura chiave dei ricordi di cui è intessuto il libro - spiega la Bignardi - e la memoria si dipana dalla sua scomparsa, avvenuta l'anno scorso, a ritroso in un mondo che non c'è più, dove le famiglie erano grandi ma non allargate, anche se le loro vite si intrecciavano in maniera autentica.

Io, quell'universo di relazioni semplici e vere l'ho lasciato a 23 anni, ma lì c'è comunque il mio Dna, il mio approdo tranquillo e sicuro». La Ferrara di Bassani fa da sfondo, allora, a una storia che, partendo dal dolore per la perdita della mamma, Daria Bignardi ripercorre presentandoci «nonni, zie, gatti, antenati di origine nobiliare e persino un santo. E poi, soprattutto, mio padre Vico e il suo fascino irrequieto, la passione dirompente con cui, durante la guerra, si innamorò di mia madre. Ma penso anche al legame che avevo io, con lei, così autoritaria e fragile al tempo stesso: un rapporto che rispecchia tante esistenze e che era così radicato in me da portarmi a cercare, dopo la sua morte, i luoghi che era solita frequentare, dalla parrucchiera al caffè sotto casa.
Quando mancano i genitori - commenta - ci sentiamo colpevoli per non aver dato abbastanza, abbiamo amato e siamo stati amati in un modo difficile da concepire». Già, l'amore. E quelle consapevolezze che sembrano arrivare solo quando ormai è troppo tardi. «Come ho scritto anche nel libro, nel momento in cui perdi qualcuno ti illudi di aver finalmente capito, e sei certo che passerai il resto della vita ad amare gli altri. Forse lo farai, forse no, ma a soccorrerti ci saranno sempre le piccole cose, come la carezza di tuo marito o il sorriso di un figlio piccolo, che ti aiuteranno a orientarti nella ricerca di te stesso».