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Dante09 festival a Ravenna

Notizia pubblicata il 07 settembre 2007



Categoria notizia : Cultura


Dante, una faccia da cinema. Il divin poeta fu padre nobile anche della 'commedia all'italiana'?. Dalla Commedia alla commedia. È solo una questione di maiuscole? Si apre a Ravenna « Dante09», seconda edizione del festival che con una serie di appuntamenti trasversali, e persino eccentrici, invita ad avvicinarsi all'intramontabile mondo del nostro maggiore poeta.

A RAVENNA
Stavolta nel nutrito programma che copre l'intera settimana dal 9 al 16 settembre, fra poesia,  arte e danza brilla per stravaganza la serata di mercoledì, intitolata «Facce da commedia». Protagonisti il giornalista televisivo Vincenzo Mollica e il comico Stefano Bicocchi, in arte Vito.

Tema la «commedia all'italiana», cioè quel cinema che più di ogni altro ha segnato il nostro immaginario. Data l'evidente allusione a nobili origini ne parliamo con Davide Rondoni, direttore artistico di «Dante09» (e perciò responsabile anche di questa scelta) oltre che poeta e direttore del Centro di poesia contemporanea dell'università di Bologna.

Registi e scrittori di Cinecittà sono dunque figli della Divina Commedia?
«È un'ipotesi e anch'io sono curioso di scoprire che cosa accadrà. Però non dimentichiamo che la commedia non è stata inventata dal cinema degli anni Cinquanta. E lo spirito italiano risale indubbiamente fino a Dante».
Il comico Vito e il giornalista Mollica sembrano più facce da Decamerone che da Divina Commedia.
«E guarda caso Boccaccio è stato proprio il primo e più grande sponsor di Dante».
Insieme alle chiacchiere e alle gag della strana coppia quali prove è in grado di fornire?
«Segnalerò almeno una sorpresa per quella sera, una piccola perla. Una ventina di minuti di un film ormai quasi introvabile, Totò all'inferno».
I dantisti che cosa diranno?
«Questo non è tanto un festival di dantisti, ma piuttosto di tipi danteschi».
Com'è un tipo dantesco?
«Chiunque, attore, scienziato, poeta o altro, accetti la sfida dello sguardo di Dante per viaggiare come lui dentro il nostro mondo».
Lei è un dantista?
«No, anch'io sono un tipo dantesco. Di recente Roberto Benigni mi ha ringraziato perché nel suo spettacolo mette in scena anche il mio commento all'Inno alla Vergine».
Il suo Dante piace dunque più ai comici che ai dantisti?
«Senta: i dantisti stanno lì belli e soddisfatti nella loro accademia e non si allarmano se all'ultima maturità solo il cinque per cento degli studenti ha scelto il tema su Dante e San Francesco».
E «Dante09» in che modo può essere utile?
«La grande cultura offre sempre spunti per il presente. Basta coglierli. Per esempio i tre passi che abbiamo proposto per il concorso 'Pubblica Commedia' sui quali i cittadini possono esprimere i loro commenti».
Un verso in particolare: «non è il mondan romore altro ch'un fiato di vento...»
«Appunto, vallette, veline, sportivi, cantanti, politici, tutti sospinti da un vento in cerca di fama».
A tutti piace il successo.
«Il 'mondan romore' è il chiacchiericcio, la fama che si riduce al compiacimento. Poi c'è anche un uso della fama capace di introdurre a qualcosa di valido».
E a lei non piace il successo?
«Naturalmente preferisco che mi applaudano invece di tirarmi un gatto morto. Quanto al successo per un poeta non vuol dire niente, ne riparliamo fra trecento anni».
Quando ha scoperto la poesia?
«La prima l'ho scritta a otto anni».
In famiglia c'era forse qualche fonte di ispirazione?
«Il più vicino alla letteratura è stato mio padre che da bambino si racconta sia stato tenuto in braccio da Grazia Deledda nei suoi lunghi soggiorni a Cervia».
C'è un momento in cui uno, fra sé e sé, osa pensare: sono un poeta?
«C'è un momento in cui uno decide che la sua opera è quella. Poi c'è bisogno dei maestri dei loro giudizi e dei loro incoraggiamenti».
E lei li ha avuti?
«Caproni e poi Luzi e Testori che mi hanno giudicato e incoraggiato ai tempi del primo libro, La frontiera delle ginestre, quando avevo diciotto anni. E lì ho deciso di scommettere, di correre qualche rischio.
Per esempio?
«Non cercare una vera professione».
Dunque che mestiere fa? Il poeta?
«No, perché non si campa di poesia. Se fossimo nel Settecento potrei dire che faccio il letterato, oggi dico che campo di espedienti letterari».
Nel 2006 sperava che «Dante09» sarebbe arrivato al secondo anno?
«Da come ci siamo divertiti, noi e il pubblico, più che sperarlo lo sospettavo».