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Concerto Cristiano De Andrè A Bologna
Notizia pubblicata il 09 settembre 2009
Categoria notizia : Musica
CERTO che ha avuto paura. Prendere in mano l’eredital musical-letteraria del padre per portarla nelle piazze è stata per Cristiano De André (nella foto) innanzitutto una lotta con se stesso. Gli ci sono voluti dieci anni per venire a patti col proprio cognome, ma l’Erede alla fine ce l’ha fatta ad imboccare la direzione “ostinata e contraria” di canzoni che ha visto nascere tra le quattro mura familiari e ha suonato per anni sul palco del padre; brani come La cattiva strada, Andrea, Creuza de mä, a cui lo spettacolo atteso stasera al Parco Nord di Bologna ( alla Festa dell’Unità) consegna una veste nuova che sa tanto di passato.
Grazie infatti al tocco di collaboratori storici di Faber come il manager Bruno Sconocchia o il regista Pepi Morgia, il concerto costituisce una proiezione in avanti del repertorio dell’Amico Fragile che lascia assaporare l’illusione di come avrebbe potuto essere oggi un suo concerto.
Cristiano, cosa cerca la gente in uno spettacolo di questo tipo?
«Dalle lettere ricevute si direbbe che il pubblico è contento soprattutto di rivedermi sul palco. E poi sentirmi cantare il repertorio di mio padre forse la riporta con la mente al nostro ultimo tour».
Le due ore di spettacolo accendono luci nuove sul repertrorio di famiglia.
«Effettivamente ci sono cose mai fatte dal vivo come ‘Oceano’, scritta a due mani da mio padre con De Gregori, o cose eseguite di rado negli ultimi tour tipo ‘Verranno a chiederti del nostro amore’ o ‘Quello che non ho’”.
In questi dieci anni Fabrizio De André è stato ricordato con dischi, libri e mostre. Delle tante celebrazioni cosa le è piaciuto?
«La versione riveduta e corretta di ‘Amore che vieni amore che vai’ ad opera di Battiato, quella di ‘Ho visto Nina volare’ ad opera di Zucchero, e la ‘Khorakhané’ di Fiorella Mannoia. Ma anche il volume ‘Una goccia di splendore’ con le splendide foto di Guido Harari».
E in autunno si prosegue.
«Sì, ripartiamo a fine ottobre. Approfitando degli spazi teatrali vorrei mettere nelle canzoni dello spettacolo un po’ meno musicoli e un po’ più sentimento, recuperando anche canzoni assenti da questa versione estiva come ‘Bocca di rosa’ o ‘Amore che vieni amore che vai’».
Ma a Fabrizio sarebbe piaciuta la versione roccheggiante di ‘Fiume Sand Creek’ che vi siete inventati con Luciano Luisi, tastierista ed arrangiatore dello show?
«Penso di sì. Mio padre era una persona molto elastica, molto curiosa, per niente formale. Quando sono in scena sento fra noi come un filo invisibile. E poi mi sono fidato molto del giudizio di Dori Ghezzi che aveva una sensibilità molto affine alla sua».