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La riminesità confinata nei borghi. E’ tra le antiche contrade che si respira il senso di appartenenza

Notizia pubblicata il 08 settembre 2009



Categoria notizia : Turismo


AVETE mai sentito un riminese che chiede a un altro: te, di che quartiere sei? No, la domanda fatidica è sempre: da che borgo vieni? Perché Rimini non è, e non può essere, una sola. Prima ancora dei quartieri, è lì, tra le stradine e i vicoletti di borgo San Giuliano, tra gli obelischi e la chiesa di borgo San Giovanni, nella piazza Mazzini che domina tutto il borgo Sant’Andrea, che trovi le vere appartenenze, la vera identità. Altro che circoscrizioni e consigli di quartiere...

«Tutto è cominciato con la festa nel borgo San Giuliano, un appuntamento che negli anni ha fatto riscoprire il senso di appartenenza dei borghigiani», ricorda Arturo Pane, presidente degli esercenti del borgo San Giuliano, e ora anche del ‘super comitato’ dei borghi storici di Rimini. Era un senso che rischiava di andar perduto, ora invece è più saldo che mai. San Giuliano ha segnato la via. Poi sono arrivati San Giovanni, con la sua festa organizza dalla chiesa e presto diventata un evento per tutta la zona di XX Settembre e dintorni, e Sant’Andrea. Che ha ‘scoperto’, grazie ai tre giorni di festa (che cadono sempre in occasione del patrono di Rimini, San Gaudenzo) di essere un borgo come e quanto gli altri.
«MA LE FESTE non sono tutto — continua Pane — Qualsiasi decisione, qualsiasi scelta ormai viene presa all’interno dei comitati dei borghi. E nessuno forse, come i borghigiani, ci tiene a dire di quale zona di Rimini è originario». Massimo Guidi, «nato e cresciuto nel borgo San Giuliano» (come lui non manca mai di ricordare) è uno degli artefici della festa di borgo San Giovanni. «Quest’anno abbiamo superato tutti i record — sottolinea Guidi — Oltre 50mila presenze in due serate. E’ una festa che cresce, che mantiene i suoi aspetti religiosi (la festa è nata per volontà della parrocchia di San Giovanni Battista, e si conclude ogni volta con una lunga processione, ndr) ma che col tempo è riuscita davvero a coinvolgere tutti i residenti e gli operatori. Anche nell’ultima edizione c’era gente che a borgo San Giovanni non abita più ormai da anni, persone arrivate da ogni parte dell’Italia (e alcune perfino dall’estero) che hanno deciso di tornare a Rimini per partecipare alla festa di San Giovanni».
Un piccolo ‘miracolo’ che si ripete ogni volta anche per Sant’Andrea e San Giuliano.
TANTO è il senso d’identità e appartenenza, che «è paradossale — continua Guidi — la suddivisione in quartieri. Noi siamo nel Q2, insieme a via Pascoli, Lagomaggio, la Colonnella: non abbiamo molto da spartire con loro, le nostre esigenze e i nostri problemi sono completamente diversi». Anche per Pane i quartieri riminesi, così come sono, «non sono molto utili. Non hanno poteri decisionali, ma solo consultivi. E poi, certi raggruppamenti non aiutano tanto... Già c’è una grande differenza tra borgo San Giuliano e San Giuliano, figuriamoci se ci mettessero insieme alle Celle. Voglio dire che i problemi, le questioni, le sensibiltà sono molto diversi». Non è un caso che il ‘super comitato’ dei borghi stia già pensando a nuove iniziative per borgo Marina. Che è il più sofferente, il più in crisi: sempre meno riminesi, sempre più stranieri, sia tra i residenti che tra gli operatori. Lo chiamano il quartiere casbah. A modo suo un’identità ce l’ha, ma non è quella che vorrebbero i riminesi.

foto by http://www.flickr.com/photos/ziowoody/