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I Superman che sfidano il vuoto appesi a una vela
Notizia pubblicata il 24 agosto 2009
Categoria notizia : Sport
PER DIVERTIRSI nel week-end non hanno mai fatto una coda. Difficile, infatti, che ci sia la fila per lanciarsi da una parete di roccia, da un’antenna o da un grattacielo. I Base Jumpers si contano ancora sulle dita di una mano.
Ma chi sono costoro? Grandi arrampicatori con un fine preciso: se si inerpicano in cima a una montagna con 30 gradi all’ombra è solo per «ridiscenderla» dal lato strapiombo, la vita affidata a una piccola vela-paracadute, unico freno mentre la terra viene incontro veloce, sempre più veloce. Parente stretto del Bungee Jumping, il salto nel vuoto da ponti e viadotti, vincolato a un lungo elastico che crea l’effetto yo yo, il Base Jumping è ancora più adrenalinico e rischioso, uno sport estremo nato naturalmente negli Usa, patria delle discipline ‘No limits’. “B.a.s.e.” è l’acronimo di buildings (edifici), antennas (torri o antenne abbandonate), span (ponti) earth (scogliere o altri tipi di formazioni naturali). In parole povere, è un paracadutismo economico che non ha bisogno dell’aereo ma solo di ‘trampolini’ naturali o artificiali e di una robusta dose di coraggio.
I pionieri del base jumping si lanciavano dalle rocce del Grand Canyon e dalle torri del Golden Gate di San Francisco, poi, in questi ultimi anni, i punti di lancio si sono moltiplicati e così gli adepti. Che si trovano pure tra Emilia Romagna e Marche. Basta andare un sabato o una domenica in cima alla Pietra di Bismantova (Reggio Emilia) o alla Rocca di San Leo (Rimini) per far conoscenza con questi Peter Pan del terzo millennio. Gennaro De Martino , è uno di loro.
Trent’anni, fisico asciutto, dal lunedì al venerdì lavora in una stazione di rifornimento a Bologna e quando ha finito va a casa prepara l’equipaggiamento, sceglie una meta di lancio e si butta. «Servono almeno cento metri di vuoto sotto — spiega — e un minimo spazio per atterrare». In cento metri si arriva a terra in 5/6 secondi e dunque la vela-paracadute si deve aprire subito dopo il salto. «L’apertura è azionata da un paracadute pilotino che estrae quello principale — continua — il rischio è quello di fare un ‘180’, cioé che la vela si apra ruotando e ti spinga invece che all’esterno, all’interno della parete, contro le rocce». Fondamentale, a riguardo, piegare accuratamente la vela paracadute prima del lancio.
Ma anche un errore nel salto e nell’assetto di caduta può essere fatale. «La vera emozione, con il cuore che va a mille è prima del tuffo — racconta — quando hai lo strapiombo sotto e devi concentrarti sulle azioni da fare. Poi quando cadi nel vuoto quei due, tre secondi sembrano un’eternità. Appena si apre il paracadute ti sfugge un urlo liberatorio». La variante più rischiosa è il salto dagli edifici. «Volendo ci sarebbe il grattacielo di Cesenatico alto 110 metri — scherza ma non troppo — ma siccome è vietato bisogna farlo di notte. E allora che gusto c’è?» Sì, caro Peter Pan, l’adrenalina alla luce del sole, basta e avanza