Archie Shepp: Giovedì in provincia di Bologna il celebre sassofonista, anima nera del jazz
Notizia pubblicata il 22 gennaio 2008
Categoria notizia : Eventi
«I L PIà™ GRANDE sassofonista di sempre? Dico Coltrane per la sonorità ultraterrena che ha raggiunto con A Love Supreme, ma non so chi sia stato il più grande jazzista. E' più divertente intrattenersi su Chopin di cui posso dirvi tutto. E poi non mi piace la parola jazz, l'hanno inventata i bianchi, indica segregazione. Meglio parlare di musica afro-americana»
- SAN LAZZARO DI SAVENA (Bologna) -
.
Archie Shepp, l'anima più nera del jazz rigato dal sound r&b, ha smesso da tempo la variopinta tunica dashiki optando per il doppiopetto blu. E ha smesso anche di suonare free jazz di cui era stato uno degli esponenti più radicali, quella sonorità discordante con cui accompagnò i drammatici avvenimenti che scandirono l'avanzata della Black Revolution. Da qualche anno suona una musica più tradizionale. Ma le tradizioni che rispetta, le uniche di cui tiene conto, sono quelle afro-americane. Il resto non lo tocca.
Con una versione aggiornata di Shepp, in quartetto col pianista Massimo Faraò con un repertorio lontano dal "free" infuocato, più vicino al gusto del blues classico, tra standard e pezzi originali, sarà possibile rifarsi il palato giovedì a San Lazzaro di Savena in provincia di Bologna per la rassegna Paradiso Jazz, ospitata dal circolo Arci Sala Paradiso.
Alla fine degli anni Sessanta lei sottolineò il legame fin troppo ovvio esistente tra musicisti afroamericani e africani.
Esistono altre chiavi di lettura?
«Non ce ne possono essere. Quando nel '69 presi parte al Panafrican Festival constatai in presa diretta che gli Stati Uniti hanno rappresentato una sorta di zona obbligata dove le diverse culture musicali tradizionali africane hanno trovato un punto di sintesi e di sviluppo. Credo d'essere stato il primo a fare registrazioni "rap" con l'incisione di Mama Rose. Una via seguita, allora, forse solo dai Last Poets».
Il blues può specchiarsi nel Senegal e nel Mali?
«E' una teoria convincente, se consideriamo le aree da cui provenivano gli schiavi, terre del canto e della kora».
Analogie forti, rilevabili anche per il bebop, quindi?
«Forti e complesse. E' da Congo e Nigeria che é arrivata la varietà ritmica».
Che cosa le ha insegnato Coltrane?
«La sintassi jazzistica: quando suonavo con lui si percepiva il respiro di chi ascoltava».
Poi arrivarono i dischi fatti assieme, da esponenti di spicco dell'avanguardia newyorkese.
«Già : il primo fu Four Trane, cui partecipò anche Roswell Ruud. In seguito mi volle alle sessioni di registrazione per A Love Supreme».
Con 'Ascension' cominciò… l'ascesa.
«Più ancora con New tighs at Newport: una faccia dell' LP era dedicata a John e l'altra a me».
Lei e Charlie Parker.
«Lui é stato il genio assoluto, quello che seppe darmi pochi consigli, ma i migliori per farmi crescere».
Lei e Frank Zappa.
«Mi sento legato più all'uomo che all'artista. Ho suonato sul palco con lui e probabilmente chi mi ascoltava non sapeva neppure chi fossi. Il rock é una musica bianca che ha utilizzato come capitale di base la cosiddetta musica jazz. Si tratta di una delle tante forme di sfruttamento della comunità nera».
Com'é nato il sodalizio con Massimo Faraò?
«Abbiamo cominciato a collaborare nel 2003 registrando un cd e un dvd: fra i tanti concerti fatti in Italia e in Europa splendido é stato quello dell' anno scorso che ci vide sul palco con Hal Singer, Buster Williams e Jimmy Cobb».
Come ideologo dell'afrocentrismo ha qualche rimpianto?
«Più d'uno: voi avete Verdi, Beethoven e Mozart, di cui é facile parlare e scrivere. Noi abbiamo Duke Ellington e Charlie Parker. Ma quando all'Università di Amherst, dove insegno storia della musica afro-americana, devo preparare una lezione per ricordare, per esempio, Lester Young, faccio fatica a trovare un qualsiasi documento che lo riguardi. Tutti i libri raccontano di Bach e di Paganini, ma ignorano le nostre composizioni».
Perchè la musica afro-americana crea meno che un tempo?
«E' il sistema che non lascia emergere i migliori artisti neri, che li emargina, li corrompe. E poi i geni costituiscono un limite che non si supera.
Tiro in ballo ancora Coltrane: come si fa ad andare più lontano di lui?».
Shepp, lei una ricetta ce l'ha?
«Nessuna: questo é un momento di riflessione, di approfondimento, di recupero delle tradizioni».