Tutte le luci del Canova Maria Pia Fabbri, viaggio fra i segreti del grande scultore
Notizia pubblicata il 19 gennaio 2009
Categoria notizia : Cultura
COME GIÀ FECE l’anno scorso per Guido Cagnacci, prendendo le mosse dalla imminente mostra di Antonio Canova in San Domenico la scrittrice forlivese Maria Pia Fabbri ha fatto uscire in questi giorni un libro in cui ricostruisce la carriera del grande scultore e propone un’analisi puntuale delle sue opere maggiori.
Forli
È un libro impreziosito dalle immagini e dalle minuziose descrizioni dei suoi capolavori. È pure un piccolo trattato di storia patria che va dalla Rivoluzione francese alla definitiva caduta di Napoleone. Protagonisti sono l’intellettualità italiana che riscoprì il patriottismo (vedi Vittorio Alfieri e Ugo Foscolo in primo piano) e tutti quegli artisti i quali, attraverso il boom dell’archeologia, realizzarono opere ispirate alla classicità greca e romana ma ammantate da una radicale umanizzazione dovuta all’Illuminismo e al Romanticismo.
«Il neoclassicismo di Antonio Canova — precisa Maria Pia Fabbri — è perfettamente in linea con la pittura del francese David e con il pensiero, in quanto alle idee di una Italia libera e indipendente, di Ugo Foscolo. Insomma, per questa elite l’arte doveva essere una sintesi fra la serena visione apollinea e l’inquieta sensibilità romantica».
LA SCRITTRICE forlivese ama svisceratamente l’arte in tutte le sue molteplici forme e quindi va anche alla ricerca delle cosiddette sfumature. «Canova — ci dice ancora la Fabbri — trattava il marmo con una perizia tale da creare l’illusione della carne umana. Egli infatti patinava le statue con pomice finissima poi, con cera leggermente colorata dava all’incarnato una lieve apparenza di vita. Tale carnalità è rimasta miracolosamente presente nell’Ebe canoviana ospite della Pinacoteca di Forlì».
«L’ARTE di Canova non è capriccio, non è svolazzo — prosegue la Fabbri — ma esprime una sua precisa poetica che fa riferimento al sentimento e alla ragione. Il sentire romantico del nostro artista lo porta a sposare, col cuore e con l’anima, la causa dell’indipendenza d’Italia e quindi soffre per il cinismo di Napoleone statista e piange leggendo ‘Le ultime lettere di Jacopo Ortis’. Egli scolpì magistralmente, dal lato formale, la colossale statua di Napoleone raffigurante ‘Marte Pacificatore’ ma gli tolse intenzionalmente l’anima, l’afflato sentimentale. Al contrario realizzò la figura a tutto tondo dell’Italia.
La rappresentò come una madre che piange per la perdita di un figlio». Lo stesso concetto su quell’opera, l’ho ritrovato nel recentissimo libro sulla storia d’Italia dal 1796 ad oggi di Christopher Duggan, intitolato ‘La forza del destino’ .
L’arte del Canova, sempre secondo il giudizio della Fabbri, sarebbe l’antitesi di quella preferita da Nietzsche. Il grande filosofo tedesco infatti intendeva l’arte (ed anche la vita) come divinità beffeggiatrici ed ermetiche. «Per il nostro scrittore invece — precisa la Fabbri — l’arte era un qualcosa di molto serio. Creava infatti opere umane originali e partecipi del flusso della storia dandole una forma che potesse esprimere una plasticità modulata, un’espressione struggente e dolcissima».
«Il neoclassicismo sposato dal Canova — conclude la scrittrice forlivese — fu l’ultimo grande stile perché l’Ottocento non seppe crearne uno suo originale: con la Restaurazione (caduto Napoleone e sfasciatosi il suo Impero, ndr) predominò l’eclettismo. Fu l’espressione di una borghesia in ascesa priva di slanci ideali ma volta al realismo e ad un solido pragmatismo».
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