La mia Romagna terra di cinema
Notizia pubblicata il 20 settembre 2007
Categoria notizia : Cultura
IL SUO secondo film da regista, Il dolce e l'amaro, storia di mafia, una delle tre pellicole italiane selezionate alla Mostra del cinema di Venezia, é uscito nelle sale il 5 settembre. Sta andando a gonfie vele.
E' tra i primi 10 per incassi, unico film italiano insieme a La ragazza del lago.
Andrea Porporati, 43 anni, vive e lavora a Roma.
Ma la Romagna é la sua seconda patria.
" Di più - attacca il regista - La Romagna é sempre stata la mia unica patria stabile. Fin da quando ero bambino la mia famiglia, per ragioni di lavoro di mio padre, ha cambiato città tante volte. Così Bellaria, la Romagna, é sempre stata l'unica patria che ho, cui mi sento di appartenere. E poi il mio sangue é soprattutto romagnolo, da parte di mia madre e dei miei nonni".
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Legami di sangue, ma anche culturali, antropologici?
"Sì. Mi appartiene anche il modo dei romagnoli di vedere la vita: disincantato, ironico, a volte un po' feroce, sanguigno".
Quali i suoi primi ricordi da spettatore al cinema?
"Da ragazzino le arene estive a Bellaria, con gli amici. L'Apollo, l'arena dei Pini, l'Italia, con le sedie di ferro e lo spettacolo che iniziava appena faceva buio, e la replica del primo tempo".
Quando ha scelto il cinema?
"Dopo aver visto Otto e mezzo di Fellini. A parte Amarcord, per me fu una rivelazione. Sino ad allora, ero ragazzino, avevo visto soprattutto commedie americane. Con Fellini fu veramente un 'colpo'.
Ho capito che cosa si poteva fare col cinema. La luce, la musica, il colore, i volti dei personaggi... Avevo scoperto un altro mondo. Credo che Fellini come nessun altro trasmetta così tanta gioia e vitalità del racconto. Ti rende felice".
E poi, nella pratica come si é avvicinato al mestiere del cinema?
"Negli anni Ottanta, ero ancora studente, ho iniziato a fare da aiutante a uno sceneggiatore".
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Che genere di lavori?
"Sceneggiavamo di tutto: film di genere, in costume, commedie. Ho imparato molte cose.
Alcune non avrei voluto impararle: i famosi 'trucchi del mestiere', a volte utili, altre troppo facili, e ti fanno smarrire il senso reale di una storia.
E' stata una esperienza importante per me. Anche se non ero pagato.
Ero un ghostwriter, un autore fantasma".
Da tempo non più.
Come sceneggiatore ha firmato, tra l'altro, nel 1994 Lamerica di Gianni Amelio (con Alessandro Sermoneta e lo stesso Amelio), tre edizioni de La Piovra televisiva, L'elefante bianco, Stato d'emergenza di Carlo Lizzani, Il cielo sotto il deserto 1 e 2, Vite in sospeso, I viceré, L'inchiesta. Da regista ha esordito con La luce negli occhi, interamente girato a Rimini.
Ora questo film sulla mafia. Vista dal basso, per così dire: Saro Scordìa (un grande Luigi Lo Cascio) é un piccolo mafioso.
Perchè questa scelta?
"Volevo fare un anti-Padrino. Il Padrino é un film meraviglioso. Ma racconta figure epiche. Don Vito Corleone é come il re di una tragedia di Shakespeare. Io volevo raccontare un soldato, non un generale. E mostrare la mafia da dentro. Vista da un ragazzino cresciuto all'interno, plagiato senza difficoltà , che diventa 'forte e potente'. Una scelta fatta non consapevolmente, frutto di un ambiente difficile.
Dalla quale solo l'amore per una donna lo spingerà a tentare di tornare indietro".