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Fiorucci ventata d’arte con disegni e acquerelli

Notizia pubblicata il 20 agosto 2009



Categoria notizia : Eventi


E’ IL MICIDIALE dilemma di sempre: le recensioni di critici e studiosi che aprono il catalogo delle mostre d’arte vanno lette prima o dopo aver visto le opere?

A Palazzo Gradari — grazie a Comune e Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro — espone fino al 23 agosto l’urbinate e quindi nostrano Franco Fiorucci: «Tempi e percorsi del disegno e dell’acquerello 1959 - 2009». Sono tranquillo, anche qui il dilemma lo risolvo come sempre: non leggo manco una riga della presentazione del catalogo, tanto poi mi farebbe solo rabbia che i soliti addetti ai lavori anche stavolta abbiano visto e afferrato nei quadri cose che a me non hanno manco sfiorato il cervello. Poi, nel caso di Fiorucci, la mostra spazia addirittura su mezzo secolo di attività, madonna, sta a vedere che toccherebbe stare attenti anche all’evoluzione dell’artista, al suo passaggio dalle opere giovanili a quelle della maturità!

Ma ecco che a porgermi una mano salvifica sono i versi di Ezra Pound posti in epigrafe al catalogo e che nulla hanno a che fare con la critica classica: «... Quello che veramente ami rimane, / il resto è scorie/ Quello che veramente ami non ti sarà strappato / Quello che veramente ami è la tua eredità...». Ah, la mia cosiddetta «vista artistica» non ha pose lunghe, è fatta di semplici «flash»: o afferro subito il «vero» che c’è nel quadro oppure ciccia per sempre. E quando questo funziona mi sento gratificato dei piccoli passi verso l’eterno che l’artista mi concede. Con Fiorucci funziona subito, praticamente dall’inizio: già coi due acquerelli «Nell’aia» del 1976 e «Nella stalla» del 1967; e poi, con nostalgia e amore che neppure io so fino in fondo, nell’olio del 1940 «L’angolo» e, stranamente, con «Verso il calanco», acquerello del 2005; e ancora, ineluttabilmente e con un balzo indietro, col trasognato «Capanno» del 1973 e con una «Darsena» scomposta e cupa, nera d’acqua e di cielo, praticamente ciò che resta di un paradiso perduto che forse fu anche mio.

Probabilmente, secondo la critica ufficiale, mi sono perso il meglio, ma il fatto che esco da Palazzo Gradari col cuore sereno mi dice che, per quel che mi riguarda, e tanto basta, il mio «flash» ha funzionato ancora. Tenetevi le mostre intere, datemi quelle poche opere che riesco a sentire mie. Fiorucci è autentico e di parola perché la sua mostra tiene davvero fede al verso di Pound: «Quello che veramente ami non ti sarà strappato....». Lui se lo tiene stretto da cinquant’anni, noi giusto il tempo di un suo dipinto goduto. Va bene così, grazie Franco Fiorucci.

foto by http://www.flickr.com/photos/pike77/