Vaccari, il curioso che fissa l'istante. A Modena una sua retrospettiva
Notizia pubblicata il 13 dicembre 2007
Categoria notizia : Cultura
IL TEMPO TRASFERITO nella patina di una polaroid, l'inconscio cristallizzato nell'ossessione di un codice a barre. Franco Vaccari affida alla macchina fotografica compiti delicati, come registrare ciò che l'occhio non vede, ciò che lo sguardo non percepisce e che solo l'autonomia di uno scatto può indicare, quasi a voler dare un nome all'indefinito attraverso la casualità di un'inquadratura
Riandare al passato può voler dire farsi cogliere dal senso ipnotico di un ricordo tenuto in letargo da pagine che documentano quanto é stato, e che oggi testimoniano di un'epoca ormai resettata, sopravanzata da realtà barrate e la cui lettura é affidata al bip di apparecchiature elettroniche tipo quelle piazzate nelle casse di un supermercato.
"RADICI", così ha titolato un tratto della sua vicenda creativa, una striscia degli anni giovanili dove accenti neorealisti si stemperano in un dettato più rivolto al comportamento che non alla situazione in sè; dunque uno straniamento della semplice rappresentazione, con voci estranee ai moduli di una resa oggettiva del reale, quasi un voler dare ragione, nel superamento dialettico delle convenzioni iconografiche, del complicato rapporto tra senso e sentimento.
Già in quegli anni l'artista modenese evitava l'indugio formale e la contemplazione pittoricista, affidando invece all'obiettivo l'incarico di combinare semanticamente quelle variabili capaci di riportare atteggiamenti e reazioni della gente in ambiti diversi, ben oltre l'istantanea, al di là del semplice scatto. Oggi quelle immagini assomigliano a un viaggio di ritorno, a una retrodatazione che sul banco della memoria depongono per un grande vuoto, per un mondo diventato teatro di assenze.
MA "RADICI" é solo uno dei capitoli proposti nella mostra organizzata dalla Galleria civica di Modena e in programma fino al 17 febbraio. Curata da Luca Panaro e Roberta Russo, la rassegna raccoglie opere di Franco Vaccari del periodo 1955/1975. Vent'anni di fotografie, un rincorrersi di clic, di esplorazioni declinate secondo un imprescindibile approdo cognitivo che dimostra, nel succedersi di riprese svolte in tempo reale, interazione di linguaggi, nonchè una concettualità che lascia campo anche alla fantasia bizzarra, infine una sostanza binaria dove le immagini, accompagnandosi alle
parole, rafforzano antiche premonizioni di "Narrative art". LA POETICA di Vaccari é un film disseminato lungo un tratto d'epoca vissuto tra i dentelli di una pellicola che si é fatta riflesso di eventi trascorsi e di continue attenzioni a ciò che si può cogliere dove l'occhio della normalità non si posa. Un giorno decise di riprendere il mondo ad altezza di cane: «Per vedere con i suoi occhi – ricorda – abbassai la macchina dai soliti 170 centimetri ai cinquanta». Un'altra volta si fece fotografare mentre andava a esporre in una galleria bolognese, dall'acquisto del biglietto in stazione all'arrivo. In sala furono poi ritratti i visitatori, le cui immagini furono collocate in parete assieme alle sue.
L'ESPOSIZIONE modenese che si articola negli spazi della Palazzina dei Giardini e del Fotomuseo Giuseppe Panini, ricorda le fasi che hanno caratterizzato vent'anni di creatività . Ci sono le immagini che si ricollegano a viaggi su barconi e a quanto osservato all'Isola di Wight, ci sono "resoconti" di scritture su muri e sotterranei, e c'é la striscia che si riallaccia al periodo delle "tracce", tra cui la partecipazione alla Biennale di Venezia dove Vaccari, in una sala completamente spoglia, piazzò una photomatic e una scritta che invitava i visitatori a lasciare un segno di sè.
«Io mi sono limitato a innescare il processo facendo la prima photostrip; poi non sono più intervenuto. Alla fine dell'esposizione le strip accumulate erano oltre 6000». Un'esposizione in tempo reale, com'é avvenuto anche in altre occasioni, tipo quando l'invito a lasciare una traccia del proprio passaggio fu rivolto a ogni angolo d'Italia. Un migliaio le macchine installate e un numero incredibile le adesioni. Immaginate come custodie del tempo e dei sogni, sembrava che le cabine fossero state trasformate in interni di pensiero dove, in assoluta libertà e in modo disinibito, venissero registrate le impronte dell'essere.
(photo by fra_sciolinabiz)
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