Gold Age a Rimini: L'albero delle virtu'
dal 19 al 23 ottobre 2011
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Tratto da un articolo di 50&Più di settembre 2011 pag 25 di Barbara Mariotti
«Ognuno nasce piccolo e osserva il più grande per imparare come comportarsi», dice lo psicanalista Luigi Zoja, in questa intervista. Ma dov’è finito il ruolo guida dell’adulto? L’esperienza e la saggezza dei vecchi? C’è una nuova società da costruire. E c’è bisogno di responsabilità.
In un’epoca in cui la tendenza è chiudersi nel proprio privato, per rassegnazione o disincanto, 50&Più propone una riflessione collettiva per iniziare un nuovo percorso di responsabilità personale e sociale in cui la generazione adulta riassuma un ruolo attivo e in cui ognuno possa contribuire al miglioramento della vita di tutti. L’appuntamento è con la decima edizione di Gold Age - Incontri di Generazioni, dal titolo L’Albero delle virtù.
Quando l’impegno personale genera frutti per tutti, al Palacongressi di Rimini, dal 19 al 23 ottobre. Ad aprire l’evento, il 20 ottobre, il convegno Prima delle Leggi: un percorso per una nuova consapevolezza collettiva. Tra i relatori, uno psicanalista di fama come Luigi Zoja, autore di numerosi libri e saggi tra i quali: La morte del prossimo, Contro Ismene, Bellezza e Giustizia, Il Gesto di Ettore, fino all’ultimo Paranoia. La follia che fa la storia.
Zoja ci dà una lettura della società. Inizia qui il percorso per una nuova consapevolezza collettiva di 50&Più.
Dottor Zoja, cosa c’era prima delle leggi? Cosa regolava le azioni degli individui?
Pur in assenza di un concetto astratto di legge e con norme precise esterne, tutti sentiamo un bisogno di giustizia. Anche prima delle leggi esisteva un istinto naturale verso un comportamento che noi oggi definiremmo giusto o corretto. Un certo senso etico, quindi, era preesistente alla presenza di norme. Norme che non sempre nascono da un sentimento, quanto da un bisogno di funzionalità. In questo senso i Romani crearono leggi molto avanzate per i loro tempi, i Greci invece non avevano codici corrispondenti, ma non significa che fossero eticamente inferiori, piuttosto il contrario.
È d’accordo sul concetto di società “liquida” del sociologo Zygmunt Bauman?
È un concetto che mi trova d’accordo come definizione fenomenologica della società. Viviamo in un’epoca sottoposta a evoluzioni rapide, in particolare dal punto di vista tecnologico ed economico. Ogni evoluzione è la conseguenza di altre: la fine della Guerra Fredda ha portato alla vittoria del libero mercato e poi alla cosiddetta globalizzazione. Negli ultimi anni ogni decennio ha scaturito molti più cambiamenti di quanti non ne abbia portati un secolo.
E dal suo punto di vista?
Da psicanalista indago, più che le varianti, le invarianti. Una delle invarianti è l’esigenza antichissima dell’uomo di raccontare e di raccontarsi. Quello che è cambiato sono i canali e le modalità del racconto. Viviamo in una società in cui ognuno tende a rinchiudersi nel proprio privato e in cui i grandi racconti non sono più tali, ma semplicemente un entertainment, un passatempo. I grandi racconti, come quelli omerici, non esistono più. Oggi il bisogno di raccontarsi è fortissimo. Prendiamo il fenomeno ipermoderno di internet con i social network; canali dove il raccontarsi si manifesta anche in forme nevrotiche e narcisistiche. Oggi assistiamo a un problema paradossale: da un lato le persone tendono a chiudersi nel proprio privato e dall’altro, invece, si sovraespongono attraverso i canali comunicativi di internet. La tecnologia rende possibile quello che era inimmaginabile
fino a poco tempo fa, lasciandoci completamente impreparati. E quasi tutti tendiamo a utilizzarla in maniera infantile.
Ci sono modelli, punti di riferimento, “autorità”, che nella nostra società abbiamo perso?
Avere punti di riferimento è un’esigenza primaria. Ognuno nasce piccolo e osserva il più grande per imparare come comportarsi. L’uomo è un essere complesso e ha bisogno di imparare durante tutta la sua vita. Quello che è accaduto è stato il crollo del patriarcato. Nel corso del XX secolo si sono manifestati i suoi eccessi peggiori e il suo collasso finale. Come tutte le grandi trasformazioni, questo ha combaciato con le grandi evoluzioni economiche e tecnologiche, con la fine delle ideologie, della Guerra Fredda, della vittoria del libero mercato e dell’individualismo. Il crollo del patriarcato ha lasciato un vuoto dando vita a una società “orizzontale” in cui i giovani imparano dai loro coetanei, piuttosto che dagli adulti. Nella società di tipo “orizzontale” possono naturalmente esserci anche modelli positivi. Ai miei tempi c’era Che Guevara che incarnava sia l’uomo d’azione, purtroppo violenta, sia l’intellettuale. In Italia, oggi, i giovani hanno invece un modello in Roberto Saviano che stimola la riflessione. I nostri giovani sono meno votati all’azione, la loro è una generazione più introversa e riflessiva. L’atteggiamento riflessivo è miglior premessa per una maturazione graduale. Non a caso, nei giovani c’è anche un aumento della lettura.
Chi, invece, è nell’età matura, dove può trovare punti di riferimento validi, vista la ridondanza di cattivi esempi a vari livelli?
La buona informazione, le buone letture, la cultura in generale, rimangono punti di riferimento che aiutano a crescere, a maturare: a qualunque età. Oggi siamo sopraffatti da mille sollecitazioni. Il tempo per fermarsi, riflettere su noi stessi, sugli altri, sfugge. Possiamo ancora riprenderci il nostro tempo e ricominciare a pensare? Ci vuole un po’ di autodisciplina. Dobbiamo fare delle scelte tagliando anzitutto il superfluo. Michelangelo diceva che la vera scultura è “eliminare”: le forme sono già dentro la pietra. Tagliare non è solo rinuncia, è anche parte dell’attività creativa.
C’è una spiegazione alla tragedia avvenuta in Norvegia lo scorso 22 luglio?
Dopo l’accaduto ci si è interrogati sul soggetto: «Ma chi è?», «È un pazzo?», «Ma no, in realtà ragiona!». La paranoia è potenzialmente presente in tutti noi. Ed è naturale dubitare, criticare, diffidare, altrimenti saremmo
perduti. Il paranoico è colui a cui questo meccanismo è sfuggito di mano. Il paranoico ragiona, solo che parte da una premessa esagerata e forte: vedere dei nemici ed eliminarli. La paranoia, inoltre, ha un’alta contagiosità. La tragedia della Norvegia è stata causata da un pazzo paranoico che ha agito in condizioni estreme, ma le motivazioni che ha dato, purtroppo, circolano. In Europa assistiamo a nazionalismi di ritorno, addirittura localismi, molto aggressivi. È possibile che eventi di quella natura possano ripetersi.
La quantità di violenza è proporzionale alla ristrettezza del proprio punto di vista?
In parte sì. I localismi sono il frutto di una semplificazione del ragionamento e del messaggio. Indicare un nemico, proiettare all’esterno le responsabilità, è più semplice che fare autocritica.