Shakespeare In Love: interpretato a Bologna da Luca Argentero e la moglie
il 15 febbraio 2011
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L’opera è un incontro tra il gioco rozzo, semplice e affascinante del bambino che gioca a fare il teatro e la sapienza e la consapevolezza della portata che le parole scelte veicolano. Un bisticcio tra candore e ars dicendi. Eccellente interpretazione dell’attore torinese Luca Argentero. Musiche composte e eseguite dal vivo da Umberto Sangiovanni al pianoforte e Sara Sileo alla voce. Contaminazione drammaturgica e regia di Nicola Scorza.
Questo spettacolo teatrale è un viaggio all'interno del “mondo shakespeariano”, un percorso fatto con lo sguardo fresco e appassionato di chi ama il Bardo. Lo spirito richiesto per intraprendere questo cammino è leggero ed entusiasta, perfetto connubio tra l'ingenuità di un “fanciullo” conquistato dalla potenza delle gesta dei principi guerrieri e la sensibilità dell'uomo avvinto dalla poesia del poeta anglosassone.
Shakespeare In Love è un incontro tra il gioco rozzo, semplice e affascinante del bambino che gioca a fare il teatro e la sapienza e la consapevolezza della portata che le parole scelte veicolano. Un bisticcio tra candore e ars dicendi. Lo spettacolo racconta di noi attraverso Shak. e Shak. attraverso noi. Così come Shakespeare è stato un maestro della contaminazione, in questo spettacolo ci accingiamo a utilizzare stili diversi. Lo scopo è quello di estrapolare contemporaneamente, su due fronti, da un lato gli aspetti e le ripercussioni personali che l'autore ha provocato sul protagonista e dall'altro i continui e progressivi rimandi al quotidiano di un scrittore sempre attuale, sempre contemporaneo. La nostra forma di contaminazione consiste nell'utilizzare linguaggi diversi.
Vogliamo parlare ad un pubblico presente e consapevole di essere il nostro interlocutore. Vogliamo usare un parlare basso, comune, facile per raccontare cosa ci ha indotti a portare sulle tavole di un palcoscenico questi temi e queste storie, parlare delle nostre emozioni, dei nostri ricordi. Poi, ad un certo punto la nostra parola non basta più. Per raggiungere i momenti alti, quelli dell'incontro tra la nostra emozione e il più elevato modo di esprimerla, abbiamo bisogno della “parola shakespeariana”. La tragedia elisabettiana è stata, per il pubblico dell'epoca, pari alla nascita del cinema per noi.
La scrittura del poeta anglosassone non prevede pause ed alterna battaglie e tempeste a riflessioni e dialoghi privati. Non ci sono tempi morti, c'è un'idea di montaggio cinematografico, nelle opere dell'inglese. Shakespeare costruisce la sua azione per grandi sintesi, esige che l'attore le interpreti di conseguenza. Il nostro autore lavora per campi lunghi e primi piani, come in un film. I monologhi, in proscenio, sono detti agli spettatori, sono recitati davanti alla macchina da presa. Abbiamo bisogno di un attore cinematografico. L'attore di vecchia scuola continua a sentirsi la scena attorno, invece non ci sono che lui e gli spettatori. Questo è un primo piano shakespeariano, è un primo piano cinematografico. La musica e i suoni sono determinanti in un progetto che preveda una sorta di invasione cinematografica. Ci sono effetti sonori digitali e suoni campionati che devono aiutare a creare atmosfere.
Tutti i suoni e le musiche sono eseguiti dal vivo, così come i canti. Oltre al musicista, in scena, è presente una cantante che in più di un'occasione interagisce con il nostro attore. Ha la funzione di creare raccordi, di introdurre nuovi temi, è a volte interlocutrice e destinataria di racconti, monologhi o dei Sonetti. Un ulteriore elemento-ingrediente da intercalare nel progetto è la trasformazione in canti e canzoni dei Sonetti di Shakespeare. Essi sono spesso cantati dalla cantante, con la realizzazione ad hoc di una musica dedicata, ma in alcuni casi possono essere anticipati come versi dall'attore e poi convertiti in canti singoli o duetti.