Rossella Brescia in Carmen
il 30 luglio 2009
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Dire Carmen è un po’ come dire passione estrema, voluttà, forza e istinto. Carmen è il sole del Sud, la felice disperazione di possedere solo se stessi e la propria libertà. - La mia Carmen – ci dice il regista e coreografo Luciano Cannito - è forse semplicemente questo. Immaginata nell’isola di Lampedusa, isola del Sud per la ricca e annoiata Europa, mitico Nord per centinaia di disperati e profughi in fuga chissà da dove e chissà per quanto tempo. Storie, del resto, sotto i nostri occhi dalla mattina alla sera. Carmen può essere oggi una sudanese, una kurda, un’afghana, una kosovara, un’albanese, una pakistana, e non ha paura di rischiare tutto per la propria libertà. É una giovane donna che, come una leonessa, sa di possedere forza, bellezza, potenza e libertà. Carmen sa di essere ricca di quella ricchezza che non si può comprare. É invece l’uomo-Don Josè ad essere un poveraccio imbrigliato nella sua burocratica e sicura armatura di maschio occidentale ad avere tutto da perdere contro chi non ha nulla da perdere. E poi c’è l’Escamillo dell’Opera di Bizet. Il grande torero. Il “macho”, diremmo noi oggi. Straordinario ritratto anche questo, di personaggio archetipo. L’uomo del successo, l’uomo della gloria effimera. Tutto sommato l’uomo della superficialità. La storia di Carmen termina con la morte di Carmen. Ma perché non ci chiediamo che fine farà Don Josè? Chi è il vero perdente? Chi muore o chi resta vivo, ucciso nell’anima, nella fede, nell’orgoglio, nella speranza? Don Josè, Escamillo, Carmen. Potere, Successo, Libertà. Insicurezza, Superficialità, Solitudine. Egoismo, Egocentrismo, Sacrificio. Le stesse parole di sempre. Gli stessi desideri di sempre. E sempre gli stessi prezzi da pagare.